giovedì 28 aprile 2022

Giallisti francesi che accompagnano il lettore per mano


120, rue de la Gare è un romanzo uscito miracolosamente (rispetto alla censura militare, e quale censura!) nella Francia occupata dai nazisti, benché trattasse e dei campi di prigionia dei soldati francesi e delle costrizioni di guerra a carico dei civili.
Léo Malet (che anche nella vita reale ebbe traversie non indifferenti) fu per l’epoca in cui presentò per la prima volta il suo investigatore privato uno che seppe rompere decisamente gli schemi. Già chiamare il protagonista delle sue fatiche letterarie Nestor Burma (il cognome pescato a caso da un atlante in lingua inglese: si tratta della Birmania, oggi Myanmar!) comporta, pur nel realismo di fondo in cui sono collocate le sue avventure, una garbata ironia nei confronti dei già allora imperanti private-eyes statunitensi, ironia che viene prolungata nei comportamenti del personaggio, il quale con tipica verve dà dei punti pur all’ottimo Philip Marlowe di Raymond Chandler. Si aggiunga il nome della sua Agenzia, “Fiat Lux”, collocata in pieno centro di Parigi ed il quadro di riferimento inizia a farsi più preciso.
Una affollata galleria di comprimari, presi dalla vita vera, ci accompagna mentre seguiamo i casi affrontati da Burma, casi le cui radici affondano spesso prima della seconda guerra mondiale: tanti personaggi simpatici, uomini della strada e uomini importanti, civili e militari, perdenti come erano (con almeno un po’ di dignità!) quelli di una volta, giornalisti (tra cui indimenticabile l’alcoolizzato e bisbetico Marc Covet, sempre informatissimo), ma soprattutto figure di delinquenti presi pari pari dalle cronache dei giornali e non inventati di sana pianta, trafficanti e falsari d’arte, ricconi d’antan, poliziotti ottusi, ma trattati quasi con affetto dall’anarchico Malet, e le ragazze, le donne, ah, le donne! Ritratti di rara efficacia, ma soprattutto affettuosi del nostro immaginario femminino, quelli dipinti da Malet: ragazze quasi perdute che si riscattano; fanciulle innocenti di tutto ma sempre sul ciglio del burrone; una procace segretaria anch’ella dotata di grande senso dell’umorismo ed acuta osservatrice, ma destinata al nubilato casto, benché platonicamente innamorata del Nostro; anche belle ragazze per qualche flirt di Nestor, che vive, comunque, almeno una drammatica storia d’amore; cocottes, d’alto e basso bordo, e vere e proprie dark ladies, perché certo non potevano mancare; vecchie streghe e vecchine adorabili; e così via.
Con Malet si respira la cosiddetta storia materiale, la storia minuta, descritta con molta grazia, perché, scrivendo in tempo reale, da osservatore attento ha lasciato anche una documentazione, per così dire, imponente per gli anni ’40 e ’50. Malet con la serie di Burma ha scritto almeno un romanzo ambientato in ognuno degli arrondissements di Parigi. Così la zona della Bastiglia e lì vicino un grande luna-park; vicoli stretti e solite brasseries vicino alle Halles, oggi Centro Pompidour; nei pressi di quel grende mercato coperto di un tempo che fu l’ambientazione di un fatto singolare: come si essiccavano nei primi anni ’50 prima di essere messe in vendita le banane, arrivate acerbe da paesi allora esotici; locali poveri e un po’ malfamati un po’ ovunque, specie a Saint Germain e Montparnasse; ma anche quelli “come si deve”, soprattutto in centro; il Marais, la porta Saint-Denis ed altri siti storici; com’era Lione durante la guerra; e la Germania nazista dei lager; un gigantesco serbatoio dell’acqua potabile a Montsouris; la Port d’Italie, ben prima degli sventramenti che l’hanno trasformata in snodo viario imponente e sede di centri direzionali; belle ville di una volta con grandi giardini nella periferia nord e appena fuori Parigi, con una campagna che sembrava entrare in città; scali merci e linee ferroviarie dappertutto, quasi dentro la Ville Lumiere; abitazioni povere di operai e tuguri di sottoproletari, questi ultimi non solo in sottotetti di case malandate con scale esterne ancora più traballanti, ma talora sotto forma di un solo piano con quattro assi messe in croce in qualche cortiletto polveroso. Sono solo alcuni esempi.
Su questo sfondo Burma, tutto elegante in uno stile più anni ’40 che ’50, se ne va in giro sempre in automobile, o una bella automobile diciamo “intonata” o in taxi.
In Francia del personaggio Burma vennero fatti anche dei film; di sicuro dei fumetti molto belli, di cui alcune immagini scelte sono le copertine di certe ristampe italiane.
Ma di Malet la critica aulica si occupa soltanto della sua trilogia noir, in effetti vraiment noir


In tutti i romanzi di Pierre Magnan incombe la natura, quasi sempre  con il vento impetuoso che scende dalle montagne; cime (la Lure in primo luogo) per arrivare alle quali si passa dalle coltivazioni intensive specializzate alle boscaglie e a qualche foresta, per rinvenire pianori erbosi non di rado sprofondanti in doline (e rupi e sassi e burroni); cappelle e chiesette di campagna; reperti archeologici romani; piante rare, piante endemiche, piante officinali, profusione di fiori a primavera; maestosi castelli diroccati; lo scrosciare, talora pauroso, specie nella brutta stagione, delle acque della Durance e della Bleone e di tanti torrenti, spesso con accompagnamento di diluvi di pioggia e di spaventosi fulmini; ed anche il sole e la neve, certamente. E tanti giardini, tanti orti, tanti alberi che, più che coltivati, sembrano ormai crescere da soli e sfidare le intemperie, perché messi a dimora da qualche antenato più avveduto, il tutto a completare la parte di paesaggio che dovrebbe essere precipua cura dell’uomo. Come nel caso di Digne, vero centro di Provenza. Ci sono, ancora, i paesi, i villaggi, altre città, di cui il lettore, grazie alle descrizioni, può quasi direttamente vedere stazioni, ville, terme, palazzi, monumenti come la fortezza di Sisteron. E a Sisteron una grande pianta di glicine, abbarbicata per tutta l’altezza di una bella casa borghese, in un episodio memorabile narrato da un uomo che aveva fatto nelle Basse Alpi la Resistenza, non a caso nell'appena citata occasione - non l'unica! - rivisitata con marcati chiaroscuri. Anche il personaggio preferito di Magnan, il commissario Laviolette, ha fatto, invero, la Resistenza.

Adriano Maini