mercoledì 14 dicembre 2022

Subito dopo la Liberazione, Meiffret e Porcheddu non sempre furono capiti

Sanremo (IM): un angolo dell'attuale Via Matteotti prossimo alla dimora di Lina Meiffret

Di recente Daniela Cassini e Sarah Clarke hanno scritto un libro dedicato alla figura di Lina Meiffret (Lina, partigiana e letterata, amica del giovane Calvino, Fusta 2022), eroina della Resistenza, che pagò le sue battaglie per la libertà con torture, sevizie, fatiche e stenti con la deportazione nei campi di lavoro nazisti, rimanendone per sempre minata nel fisico e nello spirito. Nella richiamata opera campeggia anche la memoria di Renato Brunati, compagno di vita di Lina che, arrestato insieme a lei, venne fucilato al Turchino, dopo aver subito, come si racconta nel lavoro fondamentale di Mario Mascia sulla Resistenza Imperiese, un calvario ancora più impressionante di quello subito dalla sua fidanzata. Nelle pagine di Cassini e di Clarke emergono personaggi di rilievo, quali Italo Calvino e Guido Seborga, che intrattennero con l'amica di sempre, Lina, anche dopo la guerra una diversificata, ma significativa corrispondenza. Si parla anche di Giuseppe Porcheddu, detto Beppe: del resto, a lui Brunati e Meiffret affidarono, quasi presaghi della loro imminente cattura, i due ufficiali britannici, già prigionieri di guerra, i quali solo più di un anno dopo, attraverso ulteriori avventure, riuscirono a rientrare nelle linee alleate. Nel libro, va da sé, compaiono altri patrioti ed altri partigiani. 

Una pagina di un memoriale, senza data ma del secondo dopoguerra, scritto da Giuseppe Porcheddu

Alcuni documenti - di cui si riportano qui di seguito degli stralci -, relativi agli atti del processo presso la Corte d'Assise Straordinaria (Cas) di Imperia a carico di Egidio Ferrero e depositati presso l'Archivio di Stato di Genova, fotocopiati pochi giorni fa da Paolo Bianchi di Sanremo, riportano testimonianze e deduzioni, le quali, mentre intendevano minare il valore delle attenuanti da loro prodotte a favore di Ferrero, sembravano altresì, sminuire il ruolo svolto nella Resistenza da Lina Meiffret e da Giuseppe Porcheddu, soprattutto di quest'ultimo. L'impegno antifascista di Porcheddu è attestato sia in Pietro Secchia, Enzo Nizza, Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, Milano, La Pietra, 1968 che in Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Garzanti, 1971. A riassumere, a ben guardare, i rischi corsi nella cospirazione libertaria da Porcheddu sono sufficienti le seguenti note scritte da Sergio Favretto (Il Piccolo, venerdì 16 ottobre 2020 ): "Per garantire la sicurezza alla famiglia, alla moglie Ada Sabbadini e alla figlia Lidia, Concetto coinvolse il fratello Salvatore Marchesi (Salvamar), dottore in chimica, esponente della Resistenza ed antifascismo fra Sanremo e Bordighera, ispettore del Cnl [circondariale di Sanremo] e capo delle Sap di Bordighera. Il fratello Salvatore riuscì, fra dicembre '44 e gennaio '45, a far ospitare in incognito Ada e Lidia dall'amico Beppe Porcheddu, nella propria villa di via Arziglia di Bordighera. In quel periodo, sempre nella villa vi erano nascosti due ufficiali inglesi collaboranti con i partigiani. Erano Michael Ross e George Bell. Uno di essi diventerà genero del Porcheddu".

I mentovati documenti dell'Archivio di Stato di Genova riportano - non tutto, invero - oltre al riepilogo inquisitorio curato dalla Questura di Imperia (Vice Commissario Rosanova) e destinato al pubblico ministero, l'autodifesa dell'imputato, alcune denunce, alcune testimonianze a favore.

Esaminare, anche se sommariamente, l'insieme porterebbe fuori tema. Si procede, pertanto, di qui in avanti, a produrre un certo numero di esempi di quanto sopra tratteggiato.

Egidio Ferrero paradossalmente, come agente di polizia, all'indomani della Liberazione stese in Bordighera un verbale dell'interrogatorio a carico di un certo Garzo, che aveva tra il 1943 ed il 1944 denunciato anch'egli Meiffret e Brunati, pur essendo stato loro amico (così come di Guido Seborga, il primo a fare la sua conoscenza, e di Giuseppe Porcheddu). Ferrero era indagato per avere compiuto e partecipato come milite della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) ad azioni efferate anche in provincia di Savona. Rimane singolare, intanto, come Ferrero con i suoi trascorsi fosse riuscito - sia pure per breve tempo: interrogava Garzo il 24 maggio 1945 nella Caserma dei Carabinieri di Via Cadorna, stendeva il verbale per il Pubblico Ministero della Cas l'8 giugno 1945 e ad ottobre 1945 era sotto processo - a diventare poliziotto (anzi, Ispettore Capo Dirigente l'Ufficio di Bordighera). Forse perché era stata l'amministrazione alleata a conferirgli l'incarico. In effetti, nel già citato documento indirizzato al P.M. della Cas di Imperia in data 10 dicembre 1945 a firma del Vice Commissario di P.S., Dirigente la 2^ divisione, Questura di Imperia, Dr. Mario Rosanova, è data l'opportunità di leggere: "In data 1° giugno c.a., per interessamento delle Autorità alleate, su attestazioni di esponenti del movimento di liberazione, il Ferrero Egidio in oggetto generalizzato, già brigadiere dell'UPI della g.n.r., fu assunto nelle forze di Polizia della Provincia e destinato all'Ufficio di P.S. di Bordighera, perché ritenuto un benemerito della lotta per la liberazione. Senonché sono pervenute a questo Ufficio varie denunzie [...]".

Dichiarazione di Lina Meiffret, controfirmata da Renzo Rossi. Fonte: Archivio di Stato di Genova. Copia di Paolo Bianchi di Sanremo.

Renzo Rossi, già segretario del CLN di Bordighera, nonché responsabile del collegamento del Gruppo Sbarchi di Vallecrosia con gli alleati, interveniva a controfirmare come Presidente del CLN di Bordighera in data 13 agosto 1945 una dichiarazione di Lina Meiffret indirizzata alla Questura di Imperia che, tra l'altro, per quanto attiene il Ferrero riferiva che "nel febbraio del 1944 il sig. Ferrero Egidio, allora Brigadiere della Squadra Annonaria di Torino, trasferito ad Imperia al servizio dell'U.P.I. quale comandante di detto nucleo, è stato incaricato da Renato Brunati, allora capo di una banda di partigiani nella zona di Bajardo, ad assumere tale posto, entrando in tal modo a far parte del servizio informazioni partigiano (S.I.P.). Il suo comportamento è stato ottimo, anche in seguito, come potete constatare dall'allegata dichiarazione del C.L.N. di Alassio".

Il piemontese Ferrero, imputato nel processo in parola, ormai residente a Bordighera a Villa Estella, dichiarava il 30 ottobre 1945 che"... riassunto in servizio e destinato a Imperia nella prima decade di febbraio. Faccio presente che allorché fui trasferito ad Imperia mi fermai ad Alassio non avendo intenzione di continuare a prestare servizio nella g.n.r., senonché fui sollecitato dal capo partigiano Brunati Renato e dalla Maifré Lina a prendere servizio per favorire eventualmente il movimento di liberazione. Mi era stata data istruzione di riferire e prendere ordini dal sig. Porcheddu di Bordighera con il quale sono sempre stato in contatto".

Lettera del CLN di Bordighera, pervenuta alla Questura di Imperia il 9 dicembre 1945. Fonte: Archivio di Stato di Genova. Copia di Paolo Bianchi di Sanremo.

Il CLN di Bordighera con lettera - retrodata al 6 giugno 1945? preparata alle prime avvisaglie di accuse a carico di Ferrero? - con timbro di arrivo alla Questura di Imperia in data 9 dicembre 1945 sosteneva che il Ferrero "dal mese di febbraio 1945 presta opera fattiva ed intelligente per la causa dei patrioti". "Procurò la liberazione a infinite persone segnalate dal CLN di Bordighera e San Remo; ottenne la revoca di numerose esecuzioni". La dichiarazione soggiungeva di altri tentativi del Ferrero non sempre andati a buon fine. "Quantunque una tragica fatalità abbia distrutto la preziosa vita del nostro primo capo "Renato Brunati", lo zelo [del Ferrero] laonde scagionarlo dalle mani della polizia nazi-fascista fu intenso ed esposto ai peggiori rischi. Non minore solerzia esplicò nella sua funzione di collaboratore allorché si trattava di recuperare ai nostri fini armi ed esplosivi individuati dalla polizia nemica, armi raccolte con infinita fatica dal Brunati e dalla Meyffret. Il nostro attuale Presidente B.P. [di tutta evidenza Giuseppe Porcheddu], schedato, sovversivo pericoloso e propagandista antifascista, occultatore di prigionieri inglesi e capeggiatore di gruppi partigiani venne tempestivamente prevenuto dalle irruzioni polizische in casa sua e salvati quasi miracolosamente dal Ferrero...". Continua con altri esempi di azioni del Ferrero a favore degli antifascisti, sino a spingersi ad affermare che "l'aiuto che il Ferrero ci prestava scaturiva nella sua simulata situazione di Maresciallo della G.N.R., situazione che egli assunse per ordine del CLN di Alassio e del Comando Divisione Garibaldini Bonfante". Confrontata, invero, con il "manoscritto" già citato, sembrerebbe, per stile ed enfasi retorica, dettato da Giuseppe Porcheddu.
Esiste una copia di questa missiva, questa, sì, firmata da Porcheddu, "vidimata" da un notaio, che termina con queste parole: "Copia conforme all'originale esibitomi. Altra copia come la presente venne da me rilasciata in data odierna al N. 225 di Rep. Bordighera trentun Dicembre millenovecentoquarantacinque [31 dicembre 1945]. Dr. Pompeo Lomazzi Notaio".

Il 16 novembre 1945 Giacomo Castagneto, segretario provinciale del Partito Comunista, interrogato dalla polizia affermava "ho tenuto tale carica [fondatore del C.L.N. provinciale] fino al gennaio del 1944, epoca in cui mi dovetti allontanare e fui sostituito dal sig. Ughes Gaetano, pur rimanendo a contatto col Comitato, anche per il successivo mese di febbraio, in cui svolgevo un altro incarico in quel di Sanremo. Posso affermare che in tale epoca il Sig. Porcheddu Giuseppe di Bordighera non era ufficialmente, né io ero a conoscenza che egli fosse in contatto col C.L.N.P., ragione per cui non mi risulta che il medesimo abbia svolto alcuna attività cospirativa in quell'epoca o successivamente. Escludo che a Sanremo esistesse in quell'epoca un Comitato di Liberazione Nazionale funzionante ma che l'attività cospirativa era concentrata esclusivamente nelle mani del P.C.I. di cui fino allora ero il dirigente provinciale, ragione per cui sia il Porcheddu che il Ferrero Egidio fu Armando non potevano essere a contatto con elementi organizzati del movimento di resistenza clandestina di Sanremo. Per maggior chiarezza di quanto ho detto, unisco una lettera a me inviata dietro mia richiesta di informazioni dal compagno Frontero Tommaso, datata Bordighera 8.11.1945, nella quale egli mi dava assicurazione che il Porcheddu non era stato mai in contatto ufficiale con elementi cospirativi organizzati. Il Frontero, fino al maggio del 1944, epoca del suo arresto, era responsabile in Bordighera del P.C.I. e come tale faceva parte del C.L.N. di detta città ed era elemento di collegamento fra il Comitato di Liberazione di Bordighera e quello Provinciale".
 
Anche la lettera di Tommaso Frontero a Castagneto veniva fatta mettere a verbale agli atti del processo contro Ferrero, anzi, conserva nell'originale la dicitura scritta a matita "Far mettere a verbale anche questa dichiarazione...". Nella medesima si può individuare la seguente illuminante frase: "il compagno Porcheddu agiva indipendentemene dai C.L.N. e, invitato dal Brunati a prendere contatto diretto con me, io non l'ho mai visto".

Riassumeva, sempre nel suo cospicuo fascicolo del 10 dicembre 1945, indirizzato al pubblico ministero, il Vice Commissario Rosanova: "Il 18/2/1944 partecipa alla perquisizione nel domicilio e all'arresto del prof. CALVINI Giobatta di Bussana, che successivamente viene deportato in Germania (vedi denunzia di Calvini Anna del 5/7/1945). Il Ferrero, invero, mentre conferma la sua partecipazione al fatto, oppone una finalità diversa e cioé il tentativo di venire in aiuto al professore stesso facendo scomparire gli eventuali documenti compromettenti, e ciò su invito di elementi antifascisti di Bordighera. Dichiarazioni in atti del Prof. Porcheddu e della signorina Meifret di Bordighera starebbero ad avvalorare l'assunto del Ferrero, senonché la testimonianza del rag. Castagneto Giacomo, segretario provinciale del Partito Comunista Italiano e fondatore dei C.L.N. della provincia mette in forte dubbio la veridicità di tali tardive dichiarazioni (vedi verbale interrogatorio dello stesso in data 16/11/1945)".

A marzo 1946 Carmelita, nome di battaglia di una partigiana o di un partigiano già - o in veste collaborativa - di uno dei SIM (Servizio Informazioni Militare) garibaldini in I^ Zona Operativa Liguria, scrivendo una "Pratica. Lina Meiffrett" di una pagina (documento IsrecIm, copia di Giorgio Caudano)  a Fuoco (altro ex partigiano) confermava a parte - forse senza sapere del processo contro Ferrero - la sostanza del contesto qui delineato: "[...] durante la loro detenzione ad Imperia i due compagni [Brunati e Meiffret] ebbero occasione di conoscere il maresciallo dell'UPI Ferrero Egidio [...] Il Ferrero fu messo in seguito in contatto con il Prof. Porcheddu di Bordighera  [...] Il Porcheddu, elemento strano e poco equilibrato, non aveva contatti con nessun elemento militante nella cospirazione ma semplicemente con elementi antifascisti che non davano alcun contributo alla lotta".

Senza voler entrare più di tanto nei dettagli delle varie ricostruzioni - e di molte interpretazioni - e nel merito dei giudizi registrati (come definire i gruppi di cospiratori, alcuni dei quali infine riuscirono a costituire i CLN?), si può, forse, soggiungere che da un lato Meiffret (Meiffret e Brunati ben conoscevano ed ebbero ripetuti contatti, ancora alla vigilia del loro arresto, con Bruno Erven Luppi, infaticabile - prima di diventare un valoroso comandante partigiano - tessitore del rafforzamento del PCI clandestino e della stessa costruzione del CLN di Sanremo) e Porcheddu eccedettero di zelo nella difesa del Ferrero e che dall'altro un certo grado di incomunicabilità o di lettura diversa dei fatti era fatale sussistesse durante la lotta di liberazione tra i diversi gruppi di patrioti e di livelli dirigenziali della Resistenza, come ad esempio, capitò con un altro caduto per la Libertà, il capitano Gino Punzi, conosciuto da molti partigiani, tra i quali, per combinazione, proprio Giuseppe Porcheddu, ma non da tanti altri.

Prima pagina della richiesta dei difensori del Ferrero circa testimoni e documenti. Fonte: Archivio di Stato di Genova. Copia di Paolo Bianchi di Sanremo.

Il 26 maggio 1947 il PM della Cas di Imperia emette un ordine di cattura a carico di Egidio Ferrero. Il 1° novembre 1947 i difensori del Ferrero per l'udienza del successivo giorno 7 chiedevano (si veda immagine sopra) alla Cas la citazione dei testi Robutti, Meiffret e Porcheddu e la lettura di diversi documenti, tra i quali non solo la dichiarazione del CLN di Bordighera, bensì anche quelle dei CLN di Alassio e di Stellanello; nonché di una lettera del capitano Ross che, a quella data, era ormai sì genero di Giuseppe Porcheddu, ma poteva ben testimoniare - come ampiamente noto - l'impegno resistenziale del suocero.

Lettera alla Cas di Giuseppe Porcheddu. Fonte: Archivio di Stato di Genova. Copia di Paolo Bianchi di Sanremo.

Il 4 novembre del 1947 Giuseppe Porcheddu lamentava in una lettera scritta (vedere sopra) a mano (per una volta con grafia leggibile, se confrontata con una pagina del suo memoriale, che costituisce un discorso a parte, pagina che qui appare come seconda immagine di questo articolo!) il ritardo con cui gli era arrivato l'ultimo atto di citazione per il processo a carico di Egidio Ferrero. E non si limitava solo a questo! Mancavano, tuttavia, solo due mesi scarsi alla definitiva uscita di scena da parte di Beppe Porcheddu. Infatti come scrisse Leonardo Bizzaro su la Repubblica il 20 ottobre 2007: "1947, le figlie sono in Austria con i mariti, padre e madre le raggiungono per assistere alla nascita di un nipote, poi Beppe torna a Bordighera, prima di partire per Roma, dove si sta organizzando una mostra delle sue opere. È l'amico Piero Giacometti a occuparsene ed è lui a costringerlo a lasciare l'albergo per trasferirsi a casa sua. Passano insieme il Natale. Il 27, nel pomeriggio, Porcheddu esce, lasciando bastone e passaporto in camera. Non si avranno più sue notizie. Rimane l'ultima lettera, spedita da Bordighera alla sorella Ambrogia: «La vita è un continuo tradimento. I più bei sogni... restano sogno. Chissà quando ci rivedremo?». Molti nel corso dei decenni hanno provato a investigare sulla vicenda, nessuno ha mai trovato spiegazioni".

Adriano Maini

domenica 9 ottobre 2022

Di aerei e di colline nella zona Ventimiglia-Bordighera durante l'ultima guerra

Bordighera (IM): uno scorcio della collina Mostaccini

Un gruppo di bambini, mentre giocava vicino alle sponde del torrente Borghetto in prossimità della Via Romana di Bordighera, vide cadere un aereo in collina. Si affrettarono a salire, spinti dalla pericolosa curiosità, naturale in quella fase della vita umana, ma furono respinti dai soldati tedeschi accorsi ben prima sul sito dell'impatto. Riuscirono, tuttavia, a capire che il pilota era rimasto immolato con l'apparecchio; forse, addirittura, riuscirono a scorgerlo da lontano. Un recente articolo, apparso sulle pagine locali di un noto quotidiano nazionale, rispolvera la vicenda, fornendo diverse informazioni tecniche e storiche, reperite dal giornalista, ma non indica il punto preciso della conclusione di quel disastro. D'altronde, le scarse notizie reperibili sul Web sino a pochi giorni fa erano - e rimangono - contraddittorie. Fuori discussione  la data del tragico evento, 12 settembre 1944, il nome della vittima, Lewis K. Foster, il tipo di aereo, Republic P-47D-23-RA Thunderbolt, la nazionalità di entrambi, statunitense, la località di partenza, Poretta, Corsica, la squadriglia, il gruppo e così via. Una fonte sostiene che il caccia in questione - di questo tipo di apparecchi si trattava - "si schiantò mentre mitragliava il bersaglio ad un miglio a nord est di Bordighera"; un'altra, quella più ricca di dettagli, mentre conferma la precedente asserzione, aggiunge che l'aereo "era stato visto l'ultima volta ad un miglio, un miglio e mezzo a nord ovest di Bordighera". In effetti, nell'articolo citato ci sono ampi riferimenti al rapporto di un altro pilota, di cui si fa pure una breve storia di quella e di altre avventure di guerra, un pilota, il tenente John M. Lepry, che, mentre la squadriglia era in picchiata, aveva sentito dietro di sé l'esplosione del mezzo guidato da Foster, senza poterne capire le cause. Il giornalista fa ruotare il suo pezzo intorno al fatto che si sia persa la memoria di questo tragico evento. 
 
Vallebona (IM)

Eppure, qualcuno nella vicina Vallebona ancora ricorda che un compaesano parlò diverse volte di essere accorso, mentre lavorava in un appezzamento di terreno dalle parti della collina Mostaccini di Bordighera, sul luogo di un disastro aereo, riuscendo anche a vedere il cadavere straziato del pilota, di cui raccontava anche particolari raccapriccianti. Il Notiziario, invece, della fascistissima Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) aveva comunicato il 1° ottobre ai capoccia di Salò che il mezzo incursore 'precipitava in località "Camporosso". Un pilota caduto e l'altro, ferito gravemente, è stato catturato'. C'è da dubitare che sul singolo aereo i piloti fossero stati due. Millantato credito?

Anche Mario Armando, all'epoca del fatto quindicenne, visse più o meno l'episodio come i bambini di cui sopra. Nel suo racconto, pubblicato qualche anno fa in Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, appare anche un preciso riferimento ai colpi di mitraglia - forse quelli decisivi - sparati dalla torre di avvistamento (il Semaforo) approntata dai tedeschi in Piazza del Popolo nel centro storico (Paese Alto) di Bordighera. Armando quel giorno stava proprio lì a giocare con degli amici a pallone, un pallone messo a disposizione da una recluta austriaca di 17 anni, per combinazione addetto a quella postazione e che in quel frangente non poteva certo unirsi come d'abitudine ai compagni di calcio. Questi ultimi - dunque, partendo da levante - cercarono di arrivare sul luogo dell'impatto del caccia, ma vennero anche loro respinti dai soldati tedeschi.

La collina di Collasgarba

In quel torno di tempo, più o meno, a distanza in direzione ovest di circa due chilometri lungo la linea di costa, sulla piccola collina di Collasgarba, divisa tra Ventimiglia e Camporosso, anche questa affacciata su di un torrente, in questo caso il Nervia, un gruppo di bersaglieri della repubblica fascista di Salò, capeggiati dal sergente Bertelli, stava maturando la convinzione di disertare, ma alcuni patrioti li convinsero a rimanere al loro posto per aderire in modo clandestino alla Resistenza: con la discesa al mare ad un presidio in Vallecrosia questa loro scelta si rivelò molto utile per il buon esito di diverse missioni di contatto dei partigiani con gli alleati insediati nella vicina Francia.

Pigna (IM)

Non si sentiva molto sicuro - racconta il figlio Massimo - Stefano Leo Carabalona, mentre si trovava a bordo di un apparecchio a compiere una ricognizione su Pigna e dintorni, forse foriera dei bombardamenti di fine dicembre 1944 su questo centro della Val Nervia, che dovevano colpire obiettivi militari strategici - secondo lo storico Giorgio Caudano eliminare - uno scopo fallito - il generale Lieb, comandante della 34^ Divisione dell'esercito tedesco, quella di stanza nel ponente ligure -, ma che uccisero, invece, cinque donne ed una bimba di 21 mesi e causarono vari danni, pesanti per un piccolo paese. Non si sentiva sicuro Carabalona, non perché temesse la contraerea tedesca, probabilmente installata in seguito, ma per la fragilità del mezzo. Eppure Carabalona era stato coraggioso - e decorato con due medaglie di bronzo al valor militare - in guerra come ufficiale del Regio Esercito, un eroe partigiano nella difesa di Rocchetta Nervina, un protagonista delle battaglie di Pigna - e verso l'epilogo di queste riusciva a dare precise indicazioni alla Missione FLAP - battaglie che portarono alla costituzione della Libera Repubblica democratica dalla vita, purtroppo, breve, ed era appena sbarcato in Francia come responsabile del collegamento della V^ Brigata partigiana "Luigi Nuvoloni" con i comandi alleati di Nizza. Neppure immaginava che, appena rientrato in Italia, sarebbe stato gravemente ferito a febbraio 1945 in un agguato a Vallecrosia e che sarebbe occorso quasi un mese perché i sappisti del Gruppo Sbarchi Vallecrosia riuscissero via mare a portarlo definitivamente in salvo per avere infine le cure del caso a Nizza.

Da un rapporto di settore della Marina da guerra statunitense, operante nel teatro del nord-ovest del Mediterraneo (U. S. Atlantic Fleet, Task Force 86 Operations and Action of the Support Force Eighth’ Fleet During Invasion Of Southern France)

Del resto, la lunga strada per la Liberazione passò anche in provincia di Imperia, da un capo all'altro, per bombardamenti aerei e navali - anche con artiglierie di terra in prossimità del confine - , non sempre mirati su obiettivi militari, sempre con effetti devastanti sulla popolazione civile.

Adriano Maini

sabato 1 ottobre 2022

Tanti immigrati alla costruzione delle strade militari nell'estremo ponente ligure

Magauda, Frazione di Camporosso (IM): una zona circondata a suo tempo da strade militari

Come è ben noto, durante la Grande guerra a Ventimiglia vennero adibiti a ospedali militari l'Orfanotrofio San Secondo e l'Ospizio di Latte; a Bordighera vennero adattati a simile scopo il nuovo Casinò e diverse ville private, anzi, fu persino impiantato un nosocomio attendato; e così via. Del personale inglese (infermiere, ufficiali, soldati) passato in zona si conoscono alcune vicende di battaglia, ma poco risulta scritto dei fatti d'arme che coinvolsero uomini di questa zona del ponente ligure (da segnalare nel contesto il bel lavoro di Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019, ma, trattandosi di una rassegna di quasi tutti i combattenti della zona intemelia partiti all'epoca per il fronte, le relative informazioni per forza di cose, fatte salve alcune eccezioni, sono necessariamente molto sintetiche), per cui in proposito nel secolo più o meno appena trascorso sono girati alcuni racconti orali, all'apparenza scarni ed imprecisi, anche quelli compiuti da successivi immigrati.

Alla metà degli anni Trenta - ed ancora poco prima - alla costruzione delle strade militari, che sarebbero dovute servire da infrastruttura alla cosiddetta (e presunta) Maginot fascista delle Alpi Marittime, parteciparono in prevalenza come operai e manovali tanti e tanti immigrati - non tutti provvisori - da altre parti d'Italia. Dovette occuparsene anche il poeta Salvatore Quasimodo, allora quadro del Genio Civile di Imperia.

Scoppiato il secondo conflitto mondiale, il regime pensò di prodursi in un altro gesto di propaganda dei suoi, facendo (obbligando a) rientrare tredicimila tra bambini e ragazzini, figli di connazionali trapiantati in Libia, da far vivere poi tra edifici di colonie estive, alberghi, costruzioni varie (in genere pertinenze della Gioventù Italiana del Littorio, la G.I.L.). Secondo il compianto presidente dell'ANPI di Bordighera, Vincenzo Ridi, che nel 2013 ne promosse la memoria, ben quattromila dimorarono a Bordighera. Diversi anche nella vicina Sanremo, ma chi scrive non ha ancora trovato cifre in merito. In ogni caso, su questa drammatica vicenda, poiché si trattava di piccoli lontani dalle famiglie, dei quali molti perirono sul suolo nazionale e tanti altri non rividero più i loro cari, ha ben scritto da adulta una protagonista, Grazia Arnese Grimaldi, nel suo "I tredicimila ragazzi italo-libici dimenticati dalla storia" (Marco Sabatelli Editore, Savona, 2012).

In alcuni diari di nostalgici, in genere bersaglieri repubblichini, dei loro trascorsi di guerra nei pressi di questo confine con la Francia emergono memorie goliardiche, ed anche sporadiche retoriche commemorazioni di camerati caduti, ma non risultano mai parole di pietà per le loro vittime.


Esempi di documentazione O.S.S.

Non saranno tutti così i documenti pertinenti in materia, contenuti negli archivi statunitensi, i N.A.R.A., ma da quello che si rinviene desegretato dalla CIA in Rete, tra interrogatori in italiano condotti - si presume - per le Corti d'Assise Straordinarie (C.A.S.) del secondo dopoguerra, confluiti in atti O.S.S. (antesignana della CIA) ed altri appunti della medesima Organizzazione, tutti afferenti in qualche modo la provincia di Imperia, non difettano, accanto alle certificazioni di efferatezze nazifasciste (qui, qui e qui qualche esempio), aspetti secondari che sconfinano nel pettegolezzo: non solo la presenza ridondante di amanti donne, cui si è fatto già cenno altra volta, ma anche azioni da profittatori di guerra, coinvolgimento in trame di contrabbando e di borsa nera di alcuni commercianti di fiori, incombenze pressoché usuali di domestici, albergatori ed autisti (con viaggi a destra e a manca, soprattutto attraverso il confine con la Francia, sinché non divenne il fronte, con meta prevalente - guarda caso! - Montecarlo), quasi a dimostrazione del fatto che da accusati e testimoni non si intendesse ricavare molto di più.

Adriano Maini

lunedì 5 settembre 2022

Da Sanremo a Ventimiglia per degustare baguette farcite con acciughe e cipollotti nostrani


Sul finire degli anni '40 in un rinomato bar del centro di Ventimiglia molti clienti pretendevano di bere il caffé solo se fatto dal cameriere più giovane.

In quegli anni si diffondevano in tutta la zona alcune contaminazioni tra cucina locale ed altre regionali, tutte usanze all'insegna del necessitato risparmio: singolare il fatto che nelle arbanelle di pomodori secchi sott'olio venissero sempre più spesso aggiunti aglio e basilico.

A Bordighera era ancora su piazza una caratteristica venditrice ambulante di farinata, ancora oggi ricordata con tanta nostalgia.

Ad un altro esercizio di Ventimiglia al primo quarto degli anni '50 affluivano anche da Sanremo gruppi di giovanotti della piccola borghesia per degustare baguette - rigorosamente acquistate in giornata dal titolare a Mentone - farcite con acciughe e cipollotti nostrani ed intrise di burro ed aceto.

E diversi erano i siti per quelle che si potrebbero definire "merende fuori porta", in genere ubicati in campagna o in collina.

Sempre sul piano della memoria, si rincorrono e si accavallono tuttora le voci sulle migliori "pisciadele" della città di confine, tutte realizzate - altri tempi! - in condizioni di igiene che lasciavano molto a desiderare.

I locali in linea con la decenza gareggiavano giocoforza per attirare i ghiottoni non con la singola specialità, ma con l'offerta complessiva di prodotti da forno: l'eccellenza di uno di questi viene tramandata di generazione in generazione.

Un'insidia era, tuttavia, in agguato, perché, soprattutto a Bordighera, piccoli forni annessi a panetterie offrivano la possibilità di cottura a buon prezzo a frotte di massaie dalle mani d'oro, per un tripudio di verdure ripiene, di torte verdi e di dolci.

Ancora nei primi anni Sessanta per tante persone, non solo immigrate di recente, che non si potevano permettere che molto raramente di comprarli, le ricette concernenti le castagnole di Ventimiglia e i biscottelli di Bordighera - per non dire di altre prelibatezze del posto! - apparivano, invero, misteri esoterici, così come è ancora alla data odierna per le "bane" di Camporosso.

Al fianco di ristoranti prestigiosi, meta di personaggi famosi, erano ancora diffuse, soprattutto nell'entroterra, locande e trattorie dai piatti caratteristici - coniglio, capra e fagioli, ecc - ma con l'apertura del primo esercizio che vendeva pizza al taglio (si potrebbe, tuttavia, pure scegliere un altro esempio) - forse si può intravvedere simbolicamente un deciso cambio di assetto strutturale, quale si prolunga in età contemporanea, non solo connotato di raffinatezze o di novità, d'ambiente e di portate, o di veloce consumo, ma anche di diffusione di manuali di cucina dalla più o meno facile consultazione, di negozi di gastronomia varia e di altro ancora.

Chissà se nel suo ultimo libro, di cui qui sopra si mette l'immagine della copertina, in uscita a fine mese e, come pare dal titolo, dedicato - come quasi tutte le sue fatiche letterarie precedenti - a tanti aspetti di storia e di vita locale, Arturo Viale ha trovato lo spazio, come ha fatto in precedenza, a temi come quelli trattati in queste righe: ne avrebbe la competenza, non fosse altro che per le vicende della sua famiglia.

Adriano Maini

lunedì 18 luglio 2022

Sbiaditi racconti ed altri inediti di guerra

Richiesta alla Corte di Assise Straordinaria di Imperia da parte del governatore alleato Garigue per un rinvio di presenza in processo della teste Lina Meiffret. Documento in Archivio di Stato di Genova. Copia di Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

Il giovane, inibito dall'Ovra rispetto allo sfollamento di tutta la popolazione locale, al terzo giorno di guerra riusciva ad eclissarsi su uno dei pochi treni in partenza da Ventimiglia (IM) in direzione - logicamente! - levante.

Sopra Bolzano in quell'estate del 1940 passavano anche aerei italiani diretti a nord: a bombardare l'Inghilterra?

L'ex coscritto della Regia Marina narrava da anziano di una deriva per mare di giorni e giorni, prima che egli e lo sparuto gruppo di compagni superstiti all'affondamento venissero tratti in salvo.

Nel viaggio in treno, che lo riportava alla nave di ritorno dalla breve licenza in Nervia di Ventimiglia, il furiere vedeva le fumanti rovine di una Genova appena colpita da uno dei terribili bombardamenti di quel conflitto. Forse doveva ancora assistere dalla plancia di comando della corazzata alla prima battaglia navale della Sirte, che non fece, invero, grandi danni.

Il futuro maresciallo di polizia, scampato alla ritirata di Russia, prima di andare ancora una volta in partenza, questa volta per cercare di unirsi agli Alleati in Costa Azzurra, ebbe la casa distrutta da ordigni  scagliati dall'alto.

Un semplice fante, neppure ferito, dal nord Africa in Italia rientrò misteriosamente in aereo poco prima che avvenisse la resa delle forze dell'Asse su quel teatro.

Non si commuoveva al ricordo della campagna di Russia, forse tenendo ben presente la fotografia che lo ritraeva in quelle lontane lande atletico ufficiale eretto superbamente a cavallo, ma nel rievocare il suo viaggio a piedi, iniziato ad Alessandria al momento dell'armistizio, per rientrare in famiglia in Irpinia, qualche luccicone agli occhi ad un Luigi ormai anziano veniva sul serio.

Dalla corazzata che prendeva il largo i marinai vedevano arrivare sulla banchina del porto di Pola i primi mezzi tedeschi: non potevano immaginare che di lì a breve gli stukas avrebbero tentato, senza riuscirci, di colpirli. In una certa saga familiare si vociferava di un ammutinamento di ufficiali affinché quella flotta dell'Adriatico andasse sul serio a consegnarsi agli inglesi a Malta.

Dopo l'8 settembre 1943 l'addetto, nei recessi dell'incrociatore Raimondo Montecuccoli, continuava imperterrito a sfornare pane, adesso mentre la superba nave faceva trasporti per conto degli Alleati.

Anche in Magauda di Bordighera era stato realizzato un rifugio artigianale antiaereo.

La seta dei paracadute dei bengala era un provvidenziale dono del cielo per i civili che riuscivano ad impossessarsene.

Alcune amanti dei gerarchetti nazisti di Sanremo in quel torno di tempo abitavano a Bordighera: per questo via vai si produceva un grande impegno di autisti, anche italiani, delle SS.

E sempre da Sanremo una spia dell'Abwehr da privato riusciva anche ad occuparsi della tentata vendita di un quadro del Tintoretto, attirando su di sé e sui suoi complici l'attenzione delle autorità doganali, ancora sussistenti, perché il dipinto in questione era transitato dal Principato di Monaco attraverso la frontiera francese con l'Italia.

D. del suo partigianato raccontava solo che una volta, dovendo raccogliere con un compagno del materiale, si erano divertiti a scivolare sulla neve sino a finire dentro ad un cumulo di letame, da loro erroneamente scambiato per un covone ammantato di bianco.

Una scena accaduta innumerevoli volte, ma era sempre della zona intemelia la madre che stringeva la figlioletta al seno, dove aveva nascosto documenti compromettenti, dinanzi a nazisti che cercavano il marito.

Padre e figli, proprietari di noto garage in Bordighera, collaboratori del capitano Gino, accorrevano allarmati per verificare a poche decine di metri dal loro luogo di lavoro come stessero le donne e la bambina dell'appartamento colpito dal mare, non sapendo che erano già sfollate.

Lina Meiffret, trattenuta da impegni di lavoro al governatorato alleato provinciale, doveva più volte giustificare alla corte d'assise straordinaria di Imperia i suoi impedimenti a poter testimoniare contro la persona, un tempo amica, che aveva contribuito a scatenare l'inferno contro di lei e contro il martire della Resistenza Renato Brunati.

La similare istanza giudiziaria di Sanremo condannava a pena blanda, solo per "furti" e non per partecipazione a rastrellamenti, un milite del Distaccamento di Bordighera della XXXII^ Brigata Nera Padoan, nato a Ventimiglia, ivi residente.

Il professore Mario Calvino, padre del più illustre Italo, attestava, finito il secondo conflitto mondiale, che un dattilografo della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana della R.S.I.) di Imperia, costretto a tale mansione dagli eventi, in realtà aveva passato clandestinamente svariate utili informazioni ai patrioti.

La polizia partigiana di Ventimiglia doveva inoltre registrare molte denunce di persone che intendevano riottenere certi loro beni affidati a dei vicini o a dei conoscenti nelle occasioni delle loro precedenti fughe, più o meno precipitose.

Adriano Maini

martedì 5 luglio 2022

Vintage?


La foto in cornice di Pio XII comprendeva un'appendice meccanica tale per cui il braccio destro del pontefice ad un tocco (o qualcosa del genere; più probabile il classico giro di una chiavetta incorporata)  si alzava con fare di benedizione.

Un grande Sant'Antonio da Padova in gesso troneggiava su di un canterano: oggi orna un giardino di un conoscente, ma non sono ancora andato a rivederlo.

Sempre da quella camera da letto della nonna materna in Bordighera, Via Giacinti, quando ero piccolo, sdraiato sul letto potevo vedere intorno alla porta di un ingresso di casa quadri di Gignese (paesello a monte del Lago Maggiore) e un grosso ragno di vetroceramica color arancione. Non riesco a rammentare l'altro oggetto "sacro" la cui lucetta non era sufficiente a tranquillizzarmi quando sotto i 6 anni di età ero obbligato ad andare presto a dormire da solo, mentre nonna e zie cucivano o facevano andare la macchina per intessere maglie.

Dagli altri nonni ammiravo sulle pareti un cinturone della divisa di un prigioniero (un caduto?) austriaco della Grande guerra e diversi orologi da tasca.

Questi ultimi in casa nostra arrivarono un po' più tardi, curiosa dotazione professionale per mio padre ferroviere, ancor più della borsa di lavoro quasi da portalettere, dei petardi da nebbia (in casa non c'era rischio che esplodessero: si provi ad immaginare il peso di un treno lanciato a velocità che passando sopra quei minuscoli oggetti dovevano avvertire con il loro scoppio i macchinisti che avrebbero dovuto operare un'improvvisa frenata), di lanterne, al cambio delle mansioni e delle responsabilità, via via più piccole, ma sempre festose nel produrre luci gialle, verdi, rosse.

Ed ancor prima, quando abitavamo a Ventimiglia Alta, c'era un bel dipinto, un ritratto giovanile della nonna materna, forse disperso nel trasloco a Nervia del 1956, perché non l'ho più rivisto, né per troppi anni mi sono peritato di fare domande in proposito.

Sempre in riferimento a quando ero bambino, e si abitava in quel centro storico, perché la maggior parte degli oggetti cui sin qui ho accennato, me li sono riguardati da altre prospettive ancora in età adulta, mi tornano in mente un cavallo a dondolo (documentato da almeno una fotografia), uno strano triciclo (per questo gli scatti in archivio sono forse due), un orsacchiotto molto spelacchiato, un album di figurine di animali la cui ultima pagina era occupata dall'immagine di un bel koala.

La mia memoria è quella che è,  per cui  mi sarò di sicuro dimenticato altre cose che oggi farebbero tanto vintage. Non metto in conto la nostra prima radio, che era di sicuro del secondo dopoguerra e che venne poi consegnata da mio padre ad un ragazzino di Nervia perché facesse le sue prime prove da futuro tecnico del settore...


Nell'imbarazzo per la scelta di fotografie - lo stato attuale delle varie abitazioni qui menzionate, qualche giocattolo - ho scelto di iniziare il discorso con un'inquadratura (neanche ben fatta, dato che il negozio in questione risulta tutto a destra per chi guarda) della macelleria (ormai anche questa una sorta di reperto storico) che era vicina al nostro portone di ingresso a Ventimiglia Alta, ma alla fine non rinuncio, proprio qui sopra, a fare vedere quel triciclo.

Adriano Maini


mercoledì 8 giugno 2022

Jacarande


Mi è stata mandata la fotografia della fioritura di una bella jacaranda, presente in una piccola frazione di Ventimiglia. Sono anche atteso per ammirare in loco la pianta in questione che ormai non vedo da anni nel suo splendore di colori.


A dire il vero è passato anche diverso tempo da quando andavo alla ricerca di queste singolari piante per scattare immagini dei loro momenti migliori. Se ne incontrano adesso, nella riviera ligure di ponente, in un congruo numero, ma sono in genere esemplari giovani, che non reggono ancora il confronto con gli esemplari veterani.


La percezione o meno della presenza su questo territorio di questi alberi sfiora talora il ridicolo, perché troppe persone dichiarano di non conoscerli. Del resto, non si può dare loro neanche del tutto torto, perché, se non appaiono - in genere in questo periodo - con i loro manti di un viola molto particolare, le jacarande passano inosservate, confuse, forse, con altri campioni di botanica.


Capitò così anche a me. Avevo passato decenni senza prendere in considerazione queste piante, finché un giorno avvistai alla foce di un torrentello di Sanremo quello che mi sembrava più che altro un arbusto stenterello, adorno, tuttavia, di qualche fiorellino. Avendo chiesto informazioni in merito ad Alfredo Moreschi, che all'epoca ritenevo solo un semplice appassionato, mentre è un vero esperto di tanti misteri della natura, nel corso di un viaggio in treno qualche giorno dopo, più che altro per fare conversazione, ne appresi il nome, per l'appunto, jacaranda, e qualche notizia supplementare. Sarà stato il concatenarsi di coincidenze, che mi aveva portato a questa mia scoperta, ma mi prese quasi subito una grande passione per questi alberi, che a volte trasformavo in tormentone per chi mi stava ad ascoltare.


Non ho realizzato grandi cose. Appena ho potuto mi sono alquanto dedicato - come ho prima accennato - a fare un po' di fotografie, magari mancando gli appuntamenti con la fioritura delle jacarande più belle che avevo ammirato in provincia di Imperia quando ero ancora al lavoro. In altre parole, le più belle mi sono sempre sfuggite. Ho anche notato, curiosando sul Web, che in altre parti del mondo queste piante hanno fiori con altri colori. Ho anche suscitato, ai miei esordi nella blosfera, dedicando qualche modesto pensiero alle jacarande, commenti caldi e vibranti. E competenti.


In questi giorni, osservando due di questi alberi che mi sono più cari, ma che ho trovato alquanto dimessi, mi sono tornate in mente le parole pronunciate qualche anno addietro dall'amico giardiniere che ne aveva fatto la messa in opera per conto del comune di Bordighera. Vale a dire che anche per le jacarande, anziché lasciarle in stato di abbandono, occorre una cura se non continua, almeno di un certo peso. Forse lo sapevano già gli uomini che le avevano introdotte, già a metà degli anni Trenta, nel nostro immediato entroterra: come mi raccontava un altro amico.

Ho fatto fatica a ritrovare in archivio mie fotografie di jacarande: qui sono quelle che seguono la prima, quella di cui dicevo all'inizio. D'altronde finché mi mandano belle immagini posso fare a meno di andare alla ricerca di scatti ottimali sul tema... 


Come quest'ultima, che riguarda la jacaranda dei Giardini Monet di Bordighera, uno scatto che mi è pervenuto... "fuori sacco"!

Adriano Maini

martedì 10 maggio 2022

Coincidenze

Una vista da Bordighera a Cap Ferrat

Nello Pozzati mi disse in un’occasione che aveva letto "Meridiano di sangue" di Cormac McCarthy, come forse gli avevo suggerito io: solo che non so ripetere con la sua lucida precisione la trama con cui mi descrisse la filosofia, da lui intesa, sottesa a quel romanzo, che pur mi aveva tanto affascinato per quella che a me è sembrata una plastica commistione di paesaggi selvaggi e di crude vicende storiche poco note del sud-ovest nord-americano di circa due secoli fa.
E non potevo dubitare che, quando conobbe Nico Orengo, autore anche de “La curva del Latte”, Nello gli rammentasse che, certo, anni dopo quell’ambientazione romanzesca, nella campagna condotta dal protagonista lui ci aveva lavorato da bracciante, prima di emigrare a Milano, diplomarsi, laurearsi e vincere importanti concorsi in comuni dell'hinterland.
Nello, che in gioventù tirava tardi a discutere con Francesco Biamonti davanti al Bar Irene di Ventimiglia, esercizio ormai chiuso, mentre doveva alzarsi di lì a poche ore per tornare al suo lavoro, all’epoca, ancora agricolo, non ricordava, invece, molto del professor Raffaello Monti, già amico e corrispondente di Aldo Capitini. Eppure ai nostri vent’anni era stato lui a riferirmi citazioni di quella più vecchia Bordighera dell’Unione Culturale Democratica (tuttora operante grazie alla grande tenacia di Giorgio Loreti), che vide impegnati, tra gli altri, Francesco Biamonti, Guido Seborga, Angelo Oliva, Luciano De Giovanni, i pittori Enzo Maiolino, Sergio Biancheri, Joffre Truzzi, Sergio Gagliolo e chissà quanti altri personaggi di rilievo io sto dimenticando.

Dalla lettura del recente, significativo libro di Sergio Favretto, Partigiani del mare. Antifascismo e Resistenza sul confine ligure-francese, Edizioni SEB27, Torino, aprile 2022, vengo ad apprendere che Raffaello Monti era riuscito a frequentare, seppur brevemente, Giuseppe Porcheddu anche nell'immediato secondo dopoguerra.

Fravretto si sofferma pure sull'operato da partigiano di Pietro Giacometti, che compare anche nell'opera "Lina, partigiana e letterata, amica del giovane Calvino", scritto da Daniela Cassini e Sarah Clarke, una fatica che sarà presentata anche a Bordighera sabato prossimo, alle ore 17, presso la Chiesa Valdese di Via Veneto. Si sarebbe detto di Giacometti, comunque, credo, a prescindere dal fatto che era il nonno del marito della signora Clarke. Senonché, a Sanremo, la settimana scorsa all'incontro pubblico sul medesimo titolo, a margine dell'evento, sono a venuto a sapere che la famiglia Giacometti a cavallo della guerra era proprietaria di Villa Olga a Nervia di Ventimiglia: guarda caso a poche centinaia di metri dove, più a levante, qualche tempo dopo sono nato io, ma dove in quel periodo cruciale abitavano già i miei nonni.

Alcuni fatti storici o, al limite, solo alcune conferme, sono stati appurati in ordine ai due libri appena accennati dalla pubblicazione di quello che io definisco il "Memoriale Porcheddu", prima inedito, in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019. Mi emoziona tuttora sapere che una radioricetrasmittente affidata da Punzi ad un altro degno antifascista, perché probabilmente destinata a Beppe Porcheddu, era transitata dal garage Chiappa, padre e figli, una volta esistente a pochi metri dalla mia attuale abitazione. O, ancora, avere appurato in modo incontrovertibile in quale casa di Marina San Giuseppe di Ventimiglia avvenne l'agguato vile e feroce che costò la vita al capitano Gino, un uomo, già ufficiale di carriera, venuto a morire dalle nostre parti dopo aver tentato di intessere una rete antifascista in provincia, aver combattuto con i partigiani francesi ed essere tornato a cercare contatti con i nostri partigiani anche nella veste di agente dell'Oss statunitense. E, a onor del vero, le mie impressioni non si fermerebbero ancora.

Adriano Maini

giovedì 28 aprile 2022

Giallisti francesi che accompagnano il lettore per mano


120, rue de la Gare è un romanzo uscito miracolosamente (rispetto alla censura militare, e quale censura!) nella Francia occupata dai nazisti, benché trattasse e dei campi di prigionia dei soldati francesi e delle costrizioni di guerra a carico dei civili.
Léo Malet (che anche nella vita reale ebbe traversie non indifferenti) fu per l’epoca in cui presentò per la prima volta il suo investigatore privato uno che seppe rompere decisamente gli schemi. Già chiamare il protagonista delle sue fatiche letterarie Nestor Burma (il cognome pescato a caso da un atlante in lingua inglese: si tratta della Birmania, oggi Myanmar!) comporta, pur nel realismo di fondo in cui sono collocate le sue avventure, una garbata ironia nei confronti dei già allora imperanti private-eyes statunitensi, ironia che viene prolungata nei comportamenti del personaggio, il quale con tipica verve dà dei punti pur all’ottimo Philip Marlowe di Raymond Chandler. Si aggiunga il nome della sua Agenzia, “Fiat Lux”, collocata in pieno centro di Parigi ed il quadro di riferimento inizia a farsi più preciso.
Una affollata galleria di comprimari, presi dalla vita vera, ci accompagna mentre seguiamo i casi affrontati da Burma, casi le cui radici affondano spesso prima della seconda guerra mondiale: tanti personaggi simpatici, uomini della strada e uomini importanti, civili e militari, perdenti come erano (con almeno un po’ di dignità!) quelli di una volta, giornalisti (tra cui indimenticabile l’alcoolizzato e bisbetico Marc Covet, sempre informatissimo), ma soprattutto figure di delinquenti presi pari pari dalle cronache dei giornali e non inventati di sana pianta, trafficanti e falsari d’arte, ricconi d’antan, poliziotti ottusi, ma trattati quasi con affetto dall’anarchico Malet, e le ragazze, le donne, ah, le donne! Ritratti di rara efficacia, ma soprattutto affettuosi del nostro immaginario femminino, quelli dipinti da Malet: ragazze quasi perdute che si riscattano; fanciulle innocenti di tutto ma sempre sul ciglio del burrone; una procace segretaria anch’ella dotata di grande senso dell’umorismo ed acuta osservatrice, ma destinata al nubilato casto, benché platonicamente innamorata del Nostro; anche belle ragazze per qualche flirt di Nestor, che vive, comunque, almeno una drammatica storia d’amore; cocottes, d’alto e basso bordo, e vere e proprie dark ladies, perché certo non potevano mancare; vecchie streghe e vecchine adorabili; e così via.
Con Malet si respira la cosiddetta storia materiale, la storia minuta, descritta con molta grazia, perché, scrivendo in tempo reale, da osservatore attento ha lasciato anche una documentazione, per così dire, imponente per gli anni ’40 e ’50. Malet con la serie di Burma ha scritto almeno un romanzo ambientato in ognuno degli arrondissements di Parigi. Così la zona della Bastiglia e lì vicino un grande luna-park; vicoli stretti e solite brasseries vicino alle Halles, oggi Centro Pompidour; nei pressi di quel grende mercato coperto di un tempo che fu l’ambientazione di un fatto singolare: come si essiccavano nei primi anni ’50 prima di essere messe in vendita le banane, arrivate acerbe da paesi allora esotici; locali poveri e un po’ malfamati un po’ ovunque, specie a Saint Germain e Montparnasse; ma anche quelli “come si deve”, soprattutto in centro; il Marais, la porta Saint-Denis ed altri siti storici; com’era Lione durante la guerra; e la Germania nazista dei lager; un gigantesco serbatoio dell’acqua potabile a Montsouris; la Port d’Italie, ben prima degli sventramenti che l’hanno trasformata in snodo viario imponente e sede di centri direzionali; belle ville di una volta con grandi giardini nella periferia nord e appena fuori Parigi, con una campagna che sembrava entrare in città; scali merci e linee ferroviarie dappertutto, quasi dentro la Ville Lumiere; abitazioni povere di operai e tuguri di sottoproletari, questi ultimi non solo in sottotetti di case malandate con scale esterne ancora più traballanti, ma talora sotto forma di un solo piano con quattro assi messe in croce in qualche cortiletto polveroso. Sono solo alcuni esempi.
Su questo sfondo Burma, tutto elegante in uno stile più anni ’40 che ’50, se ne va in giro sempre in automobile, o una bella automobile diciamo “intonata” o in taxi.
In Francia del personaggio Burma vennero fatti anche dei film; di sicuro dei fumetti molto belli, di cui alcune immagini scelte sono le copertine di certe ristampe italiane.
Ma di Malet la critica aulica si occupa soltanto della sua trilogia noir, in effetti vraiment noir


In tutti i romanzi di Pierre Magnan incombe la natura, quasi sempre  con il vento impetuoso che scende dalle montagne; cime (la Lure in primo luogo) per arrivare alle quali si passa dalle coltivazioni intensive specializzate alle boscaglie e a qualche foresta, per rinvenire pianori erbosi non di rado sprofondanti in doline (e rupi e sassi e burroni); cappelle e chiesette di campagna; reperti archeologici romani; piante rare, piante endemiche, piante officinali, profusione di fiori a primavera; maestosi castelli diroccati; lo scrosciare, talora pauroso, specie nella brutta stagione, delle acque della Durance e della Bleone e di tanti torrenti, spesso con accompagnamento di diluvi di pioggia e di spaventosi fulmini; ed anche il sole e la neve, certamente. E tanti giardini, tanti orti, tanti alberi che, più che coltivati, sembrano ormai crescere da soli e sfidare le intemperie, perché messi a dimora da qualche antenato più avveduto, il tutto a completare la parte di paesaggio che dovrebbe essere precipua cura dell’uomo. Come nel caso di Digne, vero centro di Provenza. Ci sono, ancora, i paesi, i villaggi, altre città, di cui il lettore, grazie alle descrizioni, può quasi direttamente vedere stazioni, ville, terme, palazzi, monumenti come la fortezza di Sisteron. E a Sisteron una grande pianta di glicine, abbarbicata per tutta l’altezza di una bella casa borghese, in un episodio memorabile narrato da un uomo che aveva fatto nelle Basse Alpi la Resistenza, non a caso nell'appena citata occasione - non l'unica! - rivisitata con marcati chiaroscuri. Anche il personaggio preferito di Magnan, il commissario Laviolette, ha fatto, invero, la Resistenza.

Adriano Maini

mercoledì 16 marzo 2022

Si trascinava stanca, per spirito di servizio

Il Passo della Mendola - Fonte: Wikipedia

Edda Ciano in un albergo di lusso al Passo della Mendola era gentilissima con i camerieri, in quell'estate in cui l'Italia era appena entrata in guerra. Era, forse, un presagio di tante prossime sventure? Non solo le personali, ma anche quelle di un'intera nazione? Forse anche di quell'amore impossibile, brevissimo, con un comunista isolano? 

Irene Brin - nel ricordo dell'allora bambina - scendeva bella, elegante ed altera. Si accompagnava alla zia della testimone, altrettanto dotata di fascino, nel vialetto della casa dei nonni, dalle parti della curva del Giro d'Argento di Bordighera: il secondo conflitto mondiale era appena terminato, la vita - soprattutto quella brillante - riprendeva, gli ufficiali alleati a quel ricevimento intendevano divertirsi. 

In quel periodo, e poco lontano dall'appena mentovato luogo, invece, si trascinava stanca per spirito di servizio, forse perché glielo l'aveva chiesto l'amico Beppe Porcheddu, Lina Meiffret, a fare da segretaria a Garigue, governatore britannico della zona. L'eroica patriota, già seviziata dai nazifascisti e scampata quasi per miracolo alla prigionia in Germania, di sicuro ancora sconvolta per la morte del fidanzato Renato Brunati, suo sodale di lotta, fucilato come ostaggio al Turchino, non immaginava che pochi mesi dopo un altro partigiano avrebbe in un suo memoriale - di recente individuato nell'archivio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia da Giorgio Caudano - cercato (a mio avviso in modo maldestro) di incrinarne l'immagine. Ma di questi aspetti si stanno occupando per un prossimo libro (se ho ben inteso) in questo periodo Daniela Cassini (già Assessore alla Cultura del Comune di Sanremo e attualmente anche Presidente della nuova Sezione di Italia Nostra a Bordighera) e Sarah Clarke (quest'ultima signora già autrice su Per leggere - Anno 2019 - Annata: XIX - N. 36, a cura di Francesca Latini, dell'articolo Lina Meiffret: storia di una partigiana sanremese deportata nei lager nazisti e dei suoi documenti, mentre nella stessa occasione la studiosa Latini scrisse Le carte calviniane di Lina Meiffret, a dimostrazione - direi - del fatto che Italo Calvino non si era limitato a riportare a maggio 1945 su "La Voce della democrazia" le traversie subite da Lina Meiffret).

La giovane cantante, già trionfatrice, ragazzina, ad un Festival di Sanremo, sorrideva solare senza malizia al quasi coetaneo incrociato in un inizio di calda notte d'estate dalle parti dell'ex punto ristoro Alemagna in pieno centro di Milano. Diversi anni dopo organizzatori delle Rassegne del Club Tenco di Sanremo riferivano entusiasti dell'intelligenza e del calore umano di quella donna, ormai matura. 

Adriano Maini

giovedì 10 febbraio 2022

Intervista a Marco Innocenti sul suo “Scritti Danteschi”


L'amico Marco Innocenti mi ha fatto l'onore di lasciarsi intervistare sul suo ultimo lavoro “Scritti Danteschi” (Lo Studiolo Edizioni, Sanremo).

1) Hai avuto un’ispirazione particolare per la stesura degli “Scritti Danteschi”?
 
Il volume in realtà è una miscellanea di piccoli saggi e articoli polemici, nati in diverse occasioni, e qui riuniti grazie ad una proposta dell’editore Freddy Colt, desideroso di pubblicare qualcosa, sotto l’insegna de Lo Studiolo, per celebrare l’anno dantesco. Ho così deciso di affiancare alcuni miei studi sulla Commedia a vecchie pagine tratte dai miei Flugblätter e a un paio di pezzi extravaganti: una polemichetta verso chi banalizza Dante, pensando forse di divulgarlo, e una pagina, diciamo così, teorica, sul come leggere la Commedia in pubblico.
Infatti leggere la poesia ad alta voce, gridarla, cantarla, è cosa buona e giusta, e probabilmente la poesia è nata proprio così, detta davanti ad altri e non come testo scritto. Nei nostri anni assistiamo a tanti usi di Dante in questo senso: le lezioni di Sermonti, gli spettacoli di Benigni, le declamazioni di Bene. A me, più che le letture degli attori, spesso troppo forbite e compiaciute (con le dovute eccezioni, naturalmente) piacciono le letture in chiave, per così dire, naïf. Vorrei invitarvi ad andare a vedere, tanto per fare un esempio, su YouTube, in una serie di Loescher editore, il XX del Purgatorio presentato da un gruppo di ragazze egiziane, in un italiano perfetto (anche se dall’accento esotico): lì anche le sottolineature, le frasi accalorate, le esclamazioni ci stanno bene, e tout se tient.

2) Quale aspetto dell’opera di Dante ti appassiona di più?

Dante è un universo. Nei suoi scritti troviamo una sorta di enciclopedia dello scibile: ci sono riferimenti a tutto: alla scrittura biblica, alle filosofie antiche e medioevali, alle arti figurative, alla musica, alla matematica, alla geografia… La parte iniziale del mio volume, quella più propriamente di analisi critica, verte soprattutto sul côté politico del poema, ad esempio sui lunghi elenchi di uomini politici che talvolta affollano le pagine dantesche: elenchi affascinanti, perché rappresentano una disanima (faziosa, dura, urticante) della politica dell’epoca, un occhio straordinario che giudica la storia a lui contemporanea con uno spirito di militanza energica ed entusiasta.

Comunque, per me Dante è sempre stato zeppo di motivi d’interesse, da quando lo frequentavo, proprio da ragazzino, sulle pagine dell’Enciclopedia dei ragazzi Mondadori (e, ovviamente, con la mediazione delle immagini di Gustave Doré) a oggi. A scuola Dante lo puoi conoscere bene o male, a seconda dei casi: ti può capitare l’insegnante incapace e ignorante che cerca di fartelo odiare nel maldestro tentativo di chiarirlo (cosa vorrà dire, poi?) in modo pedante o ti può capitare chi, presentandoti i suoi versi con poche parole di commento, ti fa nascere una grande curiosità. A me capitarono entrambi i tipi di docenti: l’importante è non cadere nella trappola di chi fa di tutto per fartelo detestare e godersi chi te lo sa presentare con passione, che nel mio caso si incarnò nella figura di Cesare Trucco, un professore montessoriano e crociano che invitava gli adolescenti a leggere le prose di Giosuè Carducci o le traduzioni di Annibal Caro…

3) Indubitabile la forza dirompente dei versi di Dante. Ma tu, in particolare per quanto attiene la “Commedia”, ne metteresti in evidenza altri valori?
    
Dante è uno studioso di linguistica, un teorico della politica, un narratore straordinario… Ma la forza, quella che tu definisci dirompente, dei suoi versi è forse quello che di primo acchito ci colpisce maggiormente. Riesce a dire tanto con pochissime parole, a volte ci fa vedere cose senza neanche nominarle. Un esempio che faccio sempre: pensiamo, nel XII canto dell’Inferno, quando appaiono i centauri. Chirone si accorge che Dante è un uomo vivo perché muove i sassi su cui cammina, particolare che fra l’altro è già stato precisato poche pagine prima. I centauri sono allineati come sentinelle, Chirone parla sottovoce ai suoi compagni e indica soltanto con lo sguardo, senza fare un gesto. Il fatto è che sono tutte cose che Dante non scrive: semplicemente, ce le raffigura, ce le fa intuire, la forza evocativa della sua scrittura. E quando Dante e Virgilio s’avvicinano ai centauri constatano quanto sono alti perché il loro sguardo arriva “al petto, / dove le due nature son consorti” è un bell’effetto di realtà: i centauri Dante li ha visti (e ce li fa vedere) davvero.

Marco Innocenti, 9 febbraio 2022 


Tra gli scritti di Marco Innocenti: articoli in IL REGESTO, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM); articoli in Mellophonium; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d'occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2012; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 - 11/2013; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006.