martedì 28 maggio 2019

Leggendo di Livio Berruti


Livio Berruti non sa neppure chi sia io, ma io gli auguri per i suoi ottant'anni idealmente glieli mando lo stesso. Anche se, credo, leggermente in ritardo.
Ebbi la fortuna di stare al suo fianco, come attesta questa fotografia, su di un palco a Ventimiglia (IM) in occasione delle premiazioni di un lontano Agosto Medievale, manifestazione tipica della città di confine.
Quella volta gli balbettai qualche confusa parola circa le emozioni che la sua figura mi ispirava sin da bambino. Come cercherò di precisare più avanti.
Credo che in qualche caso si provino a pelle sensazioni giuste.
La mia fugace conoscenza dell'ex grande atleta mi diede la sensazione di essere vicino a, come si diceva una volta dalle mie parti, un gran signore.
Questa mia datata impressione mi è stata confermata - un po' come mi era già capitato dalla lettura dei giornali in occasione della morte di Kopa, di cui avevo parlato qui - da una recente intervista di Berruti, cagionata, per l'appunto, dal compimento di questo suo importante compleanno. Le sue parole - in tal caso, al di là dei risvolti tecnici, pure interessanti per me, delle sue pregresse imprese agonistiche - ai miei occhi fanno emergere il ritratto a tutto tondo di un uomo intelligente, spiritoso, pieno di vita, sensibile verso il prossimo. Non amo fare pubblicità, ma consiglio a chi dei miei pochi lettori fosse interessato a saperne di più di cercare l'articolo da me citato in "la Repubblica".
Lessi della vittoria di Berruti (sorvolo sul relativo primato mondiale uguagliato due volte e sugli successivi sviluppi della sua attività sportiva) nei 200 metri piani alle Olimpiadi di Roma del 1960 su di un giornale a disposizione dei clienti in un bar di Coldirodi, Frazione di Sanremo (IM). Avevo dieci anni. All'epoca in pratica mi interessava solo il ciclismo. Dovrei - vorrei - ripetere che erano altri tempi con altri mezzi - scarsi - di comunicazione, per cercare di inquadrare quel contesto sociale, ma non voglio allungare questo articolo. Circa l'atletica leggera probabilmente ricordavo solo in modo confuso nomi come Consolini e Zatopek, desunti dalla lettura del mio amato "Corriere dei Piccoli".
Inopinatamente la notizia di quella medaglia d'oro mi galvanizzò. Presi a seguire Berruti, la sua ed altre connesse discipline, altri atleti. Mi aiutava alla bisogna anche il successivo arrivo di un televisore in casa nostra. Ma pure la mia ormai costante attenzione ai quotidiani che comprava mio padre. Celiando, potrei aggiungere che, per una breve - perché su troppe cose sono stato incostante - stagione, cercai di emulare Berruti, anche se, in quanto allievo, su più brevi (80 metri) e più lunghe (300 metri) distanze.
In ogni caso devo ringraziare mia nonna materna e la zia più giovane, che nel settembre 1960 mi avevano portato su quell'altura che guarda sul mare per l'annuale ricorrenza del locale Santuario della Madonna Pellegrina.
 
Adriano Maini


mercoledì 22 maggio 2019

James Ellroy da "Prega detective" a "Perfidia" passando per "White Jazz"

James Ellroy - Fonte: Wikipedia
Un giudizio altamente lusinghiero é stato a suo tempo espresso su James Ellroy da Giancarlo De Cataldo, autore del noto "Romanzo criminale" e di altre opere noir, che contribuì a metà anni '90 a far conoscere questo autore americano nel nostro Paese.
Ellroy é uno scrittore noir, che, a mio personale avviso, ha portato il genere ad un elevato grado di intensità drammaturgica.

Procedo, tuttavia, con delle annotazioni estemporanee.

Nel suo penultimo ciclo di romanzi - American Tabloid, Sei pezzi da mille, Il sangue è randagio - Ellroy intesse una trama, che ha delle radici lontane nel tempo, sino agli anni '20, fitta di episodi e di personaggi, facendo ruotare in primo piano da un'opera all'altra figure di fantasia sempre al centro degli avvenimenti. La conclusione si situa intorno all'epoca di Nixon Presidente. Tutto, intorno a queste figure principali, che sono già o diventano presto assassini spietati, é crimine, o quasi; tutto, o quasi, é complotto. Ed é un americano che riscrive gran parte della recente storia americana! FBI, CIA, polizie varie: soprusi ed illegalità a non finire!
Più facile riflettere su J. Edgar Hoover, direttore (nessun Presidente ebbe il coraggio di rimuoverlo!) per più di quarant'anni del Federal Bureau.
Solo che nei romanzi in questione i personaggi simpatizzanti della sinistra e di un sindacalismo diverso da quello ufficiale sono in genere così insignificanti, che solo un sadismo istituzionale dedito alla ricerca di informatori ricattabili (come per le polizie di tutti tempi e di tutto il mondo!) poteva loro dedicare energie e risorse sotto forma di pedinamenti, violazioni del segreto postale, intercettazioni ambientali (ancora rudimentali, per la verità!) e telefoniche, infiltrazioni ed altro di sbirresco ancora.
Geograficamente in questo ciclo si viaggia molto, anche fuori dagli USA. I principali teatri americani sono Washington, Chicago, Los Angeles, Miami, Dallas, Las Vegas, come città. E gli Stati relativi, con un particolare rilievo per la Florida. Ma ci sono, anche, all'estero, Cuba, il Vietnam, il Centro America.
Il crocevia di tutte le storie é, in effetti, la velleità della mafia americana di riprendersi i casinò sequestrati dal (all'epoca!) neo-regime di Fidel Castro: un'ipotesi molto accreditata da varie fonti, ripresa anche di recente da alcuni giornali.
Non potevano mancare, allora, i campi di addestramento per i mercenari della tentata invasione di Cuba del 1962, le esercitazioni ed i riti funesti del Ku-Klux-Klan, una visione in presa diretta del fallito sbarco nella Baia dei Porci, la coltivazione dell'oppio ed il traffico dell'eroina in e dall'Indocina per finanziare attività eversive e la mafia, i summit mafiosi (anche per l'affare dei casinò di Las Vegas), le connesse infiltrazioni di CIA e mafia in Centro America a sostegno o per insediare sanguinosi regimi dittatoriali. Le azioni in Centro America sono descritte in pagine di alta drammaticità e di grande implicita condanna (di cui il conservatore Ellroy, tutto preso dall'ispirazione artistica, forse non si é reso pienamente conto) dei misfatti statunitensi, mai pienamente svelati come in questa occasione.
Il ritmo del racconto viene spesso scandito da titoli e sottotitoli di giornali (presumo quasi tutti reali) e da apocrifi documenti segreti FBI, i quali ultimi sono estremamenti illuminanti, perché ricalcati su quanto gli archivi hanno poi rivelato, soprattutto circa la paranoia che Hoover nutrì verso Luther King, spiato (ed é un eufemismo) anche dopo il conseguimento del Premio Nobel per la Pace.
Con Perfidia (del 2014) lo scrittore torna, forse per The Second L.A. Quartet, alla sua ambientazione preferita, specie se d'epoca, Los Angeles, da cui era partito. in cui ha collocato altri suoi lavori, tra cui cito Prega detective (1981) e Clandestino (1982), che me lo fecero conoscere. Ha scritto altro ancora, che in ogni caso tralascio.

"White Jazz" (1992), ad esempio, é uno dei romanzi della cosiddetta quadrilogia (o L.A. Quartet), dedicata già più di trent'anni fa da Ellroy a Los Angeles, una serie comprensiva di "Dalia nera" (1987), "Il grande nulla" (1988), "L.A. Confidential" (o "Los Angeles strettamente riservato") del 1990, un libro a me per imponderabile alchimia particolarmente caro, forse perché snodo significativo di quella fitta trama narrativa.  

La quadrilogia, nella quale emergono, sempre a mio parere, nuovi archetipi letterari rispetto al genere, si svolge in uno scenario storico preciso sin nei dettagli, in un'arco di tempo (con antefatti risalenti anche a prima della seconda guerra mondiale) che va da fine anni '40 a fine anni '50, in una Los Angeles, che personalmente ho provato a ricostruirmi pensando a film come "La fiamma del peccato", "Viale del tramonto" e "Gardenia blu", perché l'autore su arredi urbani e paesaggi, forse per non appesantire trame di per sé già ponderose, non indugia più dello stretto necessario, pur non trascurando (quando, per ovvii motivi non é dovuto ricorrere a termini di fantasia) denominazioni precise ed accurate, quali strade, canjon, lunch, ristoranti, drive-in, locali notturni, stazioni di polizia, Centrale LAPD, Municipio, uffici di contea, prigioni, alberghi, tra cui il famoso Chateau Marmont, e così via.

I protagonisti sono anzitutto i poliziotti della LAPD, poliziotti violenti, disposti a violare la legge, chi in nome di ideali o presunti tali (pietà ossessiva per le tante, troppe donne vittime del crimine umano; pervicace convinzione di difendere l'astratta giustizia), chi per malinteso spirito di corpo, chi per corruzione congenita od acquisita, chi per la combinazione di diversi di questi fattori: tutte figure da grande tragedia, molte delle quali destinate ad una fine violenta, a volte una sorta di riscatto. Esiste, poi, il grumo di uno spezzone ancora più deviato della polizia losangelina, una sorta di vera e propria Gestapo, che interferisce in tutte le vicende narrate e che, in funzione di un antesignano maccartismo, poi connesso a quello nazionale, e di un razzismo da apartheid, non esita ad infiltrare e a colludere gli ambienti criminali, ivi compresa la mafia.

E, poi, ci sono i criminali per definizione; ma un po' tutti i personaggi sono dei criminali, anche gli ingenui (a volte omosessuali latenti) che perseguono scopi troppo azzardati. Anche i reduci di guerra, già persecutori dei nazisti. E poi ci sono i debosciati ed i pervertiti.

Ma le donne, anche le prostitute e le escort (le definizioni contano in questo caso!), non sono tutte delle criminali, anche perché sono sempre raffigurate come vittime, in molte occasioni soprattutto di omicidi. E spesso sono delle vere e proprie eroine.
Vicende affascinanti, perché narrate con equilibrato pathos, e nel contempo precise sul versante psicologico, nonché storico. Non mi rimane che accennare a situazioni e personaggi non molto noti, come la condizione dei neri e dei messicani immigrati (questi ultimi, ad esempio, protagonisti, insieme a sparuti gruppi di idealisti americani, durante la seconda guerra mondiale di una manifestazione sindacale repressa nel sangue), certe restrizioni di guerra, l'insegna sulla collina che viene ridimensionata per indicare solo Hollywood, i nomi di tante automobili (pacchiane per i rivestimenti e per i colori delle carrozzerie quelle dei "negri"), Downtown (il ghetto), il jazz, la musica popolare da ballo, la Dalia Nera (e di quella vera anche di recente hanno scritto i giornali italiani), Chavez Ravine e gli sfratti di forza contro i messicani per edificare lì un grande stadio, la costruzione delle prime autostrade, gli studios e gli scioperi del personale repressi dalla mafia con la connivenza della polizia in nome dell'anticomunismo, certi attori con il loro vero nome, certi attori ed altri personaggi famosi ed i loro vizi, altri personaggi, specie ricconi, dall'identità più o meno celata al lettore, un comunismo ed un sindacalismo da operetta, quattro gatti comunisti dipinti come intellettuali ed artisti falliti, politici corrotti, poliziotti d'alto grado e procuratori carrieristi e megalomani, qualche amministratore e qualche sindacalista puri d'animo, le riviste scandalistiche, i ricatti, il razzismo, tanto razzismo.

E la droga e la pornografia, importate da un Messico che non poteva non essere che antenato di quello attuale, insanguinato dalle lotte tra i vari cartelli della droga e destinato ad avviare tanti clandestini (e tante ragazze e tante bambine prima stuprate dai delinquenti di sempre, di qua e di là di quella frontiera) sui sentieri della morte nei deserti. Un Messico, quello di allora, destinatario dei turpi vizi di tanti nordamericani e delle scorribande dei loro poliziotti, sempre in combutta con i federales.

Ellroy, come ben si saprà, prima di mettersi a scrivere, ha avuto una vita, che definire travagliata é dire poco, una vita da cui si é riscattato diventando, anche se da autodidatta, uno scrittore di razza. Anche se rimane, come ha ammesso egli stesso in alcune interviste, un gran conservatore, se non un reazionario.



martedì 14 maggio 2019

Miliu

Fonte: www.soudan.it
 
A Soldano, in Val Verbone, immediato retroterra dell'estremo ponente ligure, era soprannominato Miliu. Non ricordo se lo appellavano con lo stesso esatto termine - non ho molto orecchio per il dialetto: forse cambia una vocale! - anche a Perinaldo (IM), a pochi chilometri alle spalle di Soldano, dove era nato nel 1912 e dove morì nel 1986.
Parlo di Emilio Croesi, contrassegnato con il numero "2" nella soprastante fotografia, che lo ritrae a Soldano, Soudan in dialetto, per l'appunto.

Più ci penso e più mi viene in mente che ci sarebbe tanto da scrivere di questo personaggio.
In questa occasione io mi limiterò ad un breve, molto soggettivo e parziale, ritratto.
Cercavo sul Web immagini e documentazione relative alla vita pubblica di Croesi. Ho trovato soprattutto altro.
Emilio Croesi, infatti, è stato sindaco comunista di Perinaldo per oltre quarant'anni, in pratica dalla Liberazione sino al suo decesso.




Il giorno in cui l'ho personalmente conosciuto era già stato, se non sbaglio, preventivamente organizzato il mio invito a pranzo a casa sua. Gli feci subito, forte di una certa mia passione contratta già da bambino, una domanda relativa ad una fotografia, incorniciata nell'ingresso, che lo ritraeva giovane ciclista. La sua risposta fu che aveva fatto all'epoca qualche gara in Costa Azzurra. E questa sua esperienza spiega la sua presenza a Soldano in occasione del cimento di cui alla fotografia di partenza di questo articolo. Io ho pensato a lungo ad una sua attività da dilettante. Prima del secondo conflitto mondiale. Era stato qualcosa di più: un vero vanto, per una zona piccola come la nostra, per giunta di frontiera.
L'ho saputo dopo, molto dopo. Al pari di altre sue attività e caratteristiche.

Ripeto, tuttavia, che, in questa occasione, reputo meglio tentare un mero abbozzo della figura di Emilio Croesi.
Se mi reggono ispirazione, memoria e capacità di ricerca, cercherò di aggiungere qualcosa con trafiletti successivi a questo.

Qualche anno fa, non fidandomi di quanto rammentassi, mi feci confermare in paese che Miliu aveva introdotto abbastanza presto l'utilizzo, evidenziatomi di recente proprio da altri vecchi ospiti di Perinaldo, di una sirena del Municipio per annunciare il mezzogiorno a chi lavorava nei campi: una risposta... laica alle campane della Chiesa.

Sentii altri aneddoti.

Uno in particolare mi é rimasto ben impresso. Forse era una visita a sorpresa, ma una volta Miliu fece attendere senza tanti riguardi Mario Soldati e Luigi "Gino" Veronelli, che avevano sentito parlare del suo vino: il Rossese, da tempo Rossese di Dolceacqua, dal 1972 a Denominazione di Origine Controllata. Un vino di qualità, insomma. Quello di Croesi, ancora di più, come cercherò di attestare tra breve. Quella volta Emilio era impegnato a travasare il suo pregevole prodotto, facendolo passare attraverso una semplice, ma efficace attrezzatura, nella quale il filtraggio era assicurato dalla saggina. I due personaggi davanti a quell'operazione rimasero incantati. Iniziò una loro feconda collaborazione e frequentazione con Croesi. Ed io colpevolmente non conoscevo - o avevo largamente scortato -  questi risvolti, pensando che Emilio, come quasi tutti, ancora alla svolta degli anni 1980, a Perinaldo, coltivasse fiori, rose soprattutto.


Fonte: vivino.com
Non mi rimane che aggiungere qualche citazione, da me di recente rinvenuta, sulla qualità del Rossese di Emilio Croesi:


Siamo dalla parte di Soldano, dalla parte di Perinaldo, non da quella di Dolceacqua, siamo dalla parte dove Gino Veronelli individuò la Romanèe Conti Italiana, quella piccola vigna di Rossese che negli anni 70-80 raggiunse fama internazionale per le riuscitissime vinificazioni confidenziali  del vulcanico sindaco di Perinaldo, Emilio Croesi. Durante un intervista in video di qualche anno fa, Gino Veronelli tirò in piedi una bottiglia di vino rosso e la definì: “uno dei più grandi vini della mia vita” e ancora “vino nato da una parcella di vigna che è la Romanèe Italiana... Leggo altrove una definizione: “Il colore è rubino carico con netti sentori di selvatico, spezie e frutti di macchia mediterranea. Il corpo è pieno con sensazioni aromatiche prolungate. E vino di impensabile longevità... Si tratta del Rossese Vigneto Curli 1978 di Emilio Croesi, leggendario sindaco di Perinaldo. Non so il 1978, ancora esistente in cantine private degli eredi Croesi, ma il 1982 l’ho provato un paio di volte, la seconda da lacrime.
Guardiano del Faro, ottobre 2008, su Luciano Pignataro

Doc primaria per la Liguria, dal 1972, ebbe notorietà e rilievo grazie alla lungimiranza di Gino Veronelli, che si innamorò di questo vino negli anni 70, e nel dettaglio , della micro produzione di Emilio Croesi da Perinaldo, mitico sindaco per quarantenni del comune che diede i natali all’astronomo Cassini, che riuscì a produrre un vino talmente convincente da forzare il sentimento di Veronelli, fino a paragoni lusinghieri con le produzioni più nobili di Borgogna... Paragone che ho avuto modo di verificare quest’anno, ritrovando quei vini di Croesi, e bevendoli con enorme piacere. La longevità del Rossese, per alcuni un vinello da bere giovane, è un ulteriore aspetto su cui ragionare, in rapporto alle recenti degustazioni di vini prodotti negli anni 70-80. Ma difficili da replicare proprio per l’esiguità delle bottiglie prodotte, e spesso consumate giornalmente in loco, in famiglia o per la ristorazione. I lotti di vini di qualità, ricavati dalle migliori annate, sono pressoché confidenziali. Quantità irrisorie , che possono far la felicità di qualche attento conoscitore, che con pazienza e umiltà, si recasse in zona alla ricerca di un vino affascinante , che non è neppure costoso.
ancora Guardiano del Faro, 10 dicembre 2008, su Sorgente del Vino
 
Il ricordo che alimento con più devozione è stato un invito a pranzo a Bergamo, a casa sua, nel 1997. In quell’occasione Veronelli stappò generosamente una bottiglia di Rossese di Dolceacqua vigneto Curli 1978 di Emilio Croesi. Un rosso unico, di particolare finezza aromatica e dal tocco al palato soffuso, impalpabile, delicatissimo: un soffio. Un rosso che Veronelli definiva “la Romanée Conti d’Italia” [ Romanée Conti, in Borgogna, è il vino più raro e pregiato del pianeta Terra]. E in effetti la qualità del vino di quella vigna, Curli, è sorprendente... Alterne e avverse vicende hanno portato a un progressivo abbandono del prezioso pezzo di terra, ridotto per molto tempo a una superficie incolta, invasa dalle erbacce. Da qualche anno Giovanna Maccario, ispirata produttrice del posto, ha ripreso pazientemente in mano le sorti dello storico appezzamento. E oggi è per fortuna in grado di riproporne agli appassionati nuove versioni. Nuove e scintillanti, direi: il 2013, da poco in commercio, è buonissimo, mentre il 2014, assaggiato poche settimane fa, è - senza mezzi termini - prodigioso per maturità del frutto, purezza dei profumi, sottigliezza puntiforme dei tannini. Poche bottiglie, purtroppo, che valgono la pena della ricerca.  
di Fabio Rizzari, 17 novembre 2015

Adriano Maini


lunedì 6 maggio 2019

Circa una ricerca scolastica del 1927 sui funerali della Regina Margherita



Mi capitava qualche anno fa di fare in altro blog qualche considerazione sui funerali della Regina Margherita, morta a Bordighera (IM), dove abito, nel gennaio del 1926.


In verità, sollecitato dall'amico Giulio Rigotti, cercavo di dare conto di una ricerca scolastica effettuata da suo padre nel novembre del 1927.


Sinceramente, la figura della vedova (qui sopra una datata cartolina della statua a lei dedicata nella città delle palme) di Umberto I, che soggiornò a lungo a Bordighera, soprattutto nella villa che mantiene tuttora il suo nome, ad usare un eufemismo, non è stata un modello per spiriti progressisti.

Tant'è!


 

La fragilità di quel quaderno mi aveva consigliato, nonostante il parere contrario di Giulio, di procedere a fotopiarlo in modo parziale. Nell'operazione si staccavano dalla cucitura centrale, purtroppo, le singole pagine.


Inoltre, mi intrigava il fatto raro della conservazione in una famiglia di un documento scolastico così d'epoca.


Capita, però, in questi giorni che l'amico Silvio Martini proceda ad inviarmi vecchie fotografie, quasi tutte relative alle già dette solenni esequie, iniziate a Bordighera per terminare a Roma.


Quasi tutte realizzate, penso, dal bravo artigiano Amedeo Ferroli, una sorta di mito dalle nostre parti! 


Non so se riesco a pubblicarle nell'ordine giusto.



Appaiono, mi sembra, aspetti quasi tutti diversi della parte delle cerimonie, svolta in ambito rivierasco.


Davanti alla stazione ferroviaria di Bordighera in quel lontano inverno.


In ogni caso, anche a dispetto di mie precedenti sottolineature, la storia è storia!