giovedì 25 luglio 2024

Costa Azzurra e ... dintorni: memorie minime e nient'affatto serie



Questa volta trovo l'irresistibile impulso a ripetermi. Riprendo cose già scritte e ne trascuro altre, inedite. Mi va così. Ma mi fermo molto indietro nel tempo. Con qualche domanda retorica iniziale. Parto dai soliti platani? Dai profumi di Grasse? Che devo aver odorato in loco quando avevo cinque anni? A dire il vero, non riesco a ricordarli: ho più nella memoria, anzi, quasi nel naso, le fragranze delle vecchie distillerie di Bordighera e del Prino di Imperia. Il cioccolato, allora. Quello nero, fondente, ottimo, dalla marca che non vado a declinare, anche se non c’é più. Si trovava solo nei negozi di là dalla frontiera. Fantastico per fare le castagnole, il dolce tipico di Ventimiglia. Almeno, lo usava la nostra vicina di casa di Nervia e castagnole così buone non ne ho più mangiate. Neanche adesso che la leccornia ha il marchio di origine comunale. Vatti a fidare dell’ufficialità! Certo che, a quei tempi, che tre tavolette o giù di lì facessero già contrabbando! Come le banane. Pure quelle piccole, del Senegal: mai più viste! Gite scolastiche e non. La Valle Roja nella parte francese. Fuori mano? Va bene, ma ditelo ai francesi, che te la segnalano già da Cannes. La vecchia ferrovia Ventimiglia-Cuneo ancora in disarmo: ponti crollati, binari interrotti, malconcia segnaletica d’anteguerra. La Valle delle Meraviglie per salire a Monte Bego. Il primo laghetto. Pic-nic. Filmino, se c’é ancora. Non pervenuto se riversato in dvd. E, dall’altra parte, verso il mare, l’Acquario di Monaco: sì, però, l’ho guardato bene tanti anni dopo. E Monaco é Costa Azzurra? Sì, mi pare si dica di sì. Il Trofeo d’Augusto a La Turbie. Eze Village, il nido d’aquila de la Côte: giusto, ma che era tutto ricostruito l’ho capito già allora, da ragazzino. A Nizza, ancora, il monumento a Garibaldi. In quella piazza soprattutto la farinata. Socca, come la chiamano sul posto. Sospel. Bella cittadina! Se si accantona per un momento la memoria della feroce strage nazista. Sospel bella come la sottostante parte alta della Val Bevera. Il Festival del Cinema a Cannes, l’anno della contestazione generale. Città vuota, cartelloni sì. Perché mi sovviene quello di “Grazie, zia”? Lisa Gastoni callipigia nature? Subito dopo, due vendemmie a Les Arcs-sur-Argens, dipartimento del Var. Dal treno, l’incanto delle rocce rosse sul mare. Sul posto guidare, autorizzato, per divertimento il trattore solo usando la frizione: danni lievissimi alle vigne! Una domenica (nella banda c’erano una o due auto di ventimigliesi arrivati dopo e ripartiti prima) tutti o quasi a Saint-Tropez. La strada in collina non finiva mai. Saltare qualche intermezzo. Ancora due gite in pullman. Vence o Saint Paul de Vence? Sono vicine. Museo d’arte moderna. Tabula rasa. E non faccio ricerche su Internet o altrove. Sempre la mia testa nelle nuvole. Però, Grasse, sì. Ma per cosa? Per la fermata a a Nizza. Perché quel mercato dei fiori di “Caccia al ladro” c’era ancora. Dove Cary Grant finisce tra le ceste. E assaporare “54” dei Wu Ming che ricostruiscono quel parziale backstage.

Adriano Maini

domenica 21 luglio 2024

Verso la frontiera

Una vista da Zona Ville di Ventimiglia (IM): a destra uno scorcio della Piana di Latte; al centro Punta Mortola; in fondo uno scorcio di Francia

Arturo Viale ha infine localizzato il terreno in cui venne introdotta - come racconta nel suo "Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio" (Edizioni Zem, 2022) - "a Latte, frazione di Ventimiglia, la coltivazione industriale dei fiori, producendo rose e garofani".
Spetta in modo evidente a lui rendere noto in dettaglio tale aspetto, eventualmente con un suo nuovo libro.

Nico Orengo si complimentò anni fa con Arturo Viale per il suo "Mezz'agosto" (del 1994). Nel biglietto di congratulazioni lo scrittore si soffermò sulla "giuggiola dai Tremayne. Non ho più trovato quell’albero. Ce n’è ancora uno a Latte, all’inizio della via Romana, prima del cavalcavia. Caro Viale, il suo raccontare mi ha tenuto una affettuosa e sincera compagnia per una sera, tempo fa. Ma il ricordo è ancora vivo, le parole hanno ancora alone".
Si dà il caso che la citata pianta della Via Romana oggi non sia più visibile, perché attorniata da tanti altri alberi, ma quasi in compenso ci sono diverse piccole - larghe ciascuna più o meno un palmo - giuggiole sulla vecchia arteria, spuntate ai piedi del muraglione di sostegno della Via Aurelia.

Vladi Orengo, padre di Nico, fu anche un regista di documentari cinematografici. Nel 1955 gliene "bocciarono" alcuni. Tra questi, "Porta Canarda" (con un po' di fantasia anche sentinella di Latte in altura, da levante, in zona Ville), "inchiesta sul contrabbando in una zona nei pressi di Ventimiglia, al confine con la Francia. Le parole di protesta del regista, vittima di una vera e propria crociata da parte dei censori, erano le stesse di tutti coloro che credevano nel documentario e nella sua vocazione a trattare argomenti d’impegno civile, anche se scottanti. Contro quest’ambiziosa visione, però, si scontrava - e il più delle volte prevaleva - l’idea di chi relegava il documentario a sottoprodotto culturale, impedendogli di evolversi e di affermarsi autonomamente". Così recita un passo della Tesi di Dottorato di Mariangela Palmieri "La propagaganda della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano negli anni della guerra fredda attraverso i documentari cinematografici (Università degli Studi di Salerno, Anno accademico 2010-2011). Si aggiunge, per una migliore comprensione, che Vladi Orengo aveva affidato le sue critiche alla rivista «Cinema Nuovo» e che si può capire il senso dell'esclusione dal mercato delle menzionate pellicole ancora con il ricorso alle parole usate da Mariangela Palmieri: "tantissimi documentari d’indiscusso valore e pluripremiati in festival e rassegne sono stati costretti, praticamente, alla scomparsa definitiva dalla circolazione, poiché altre soluzioni di sopravvivenza, al di fuori dell’area del sostegno dello Stato, in Italia in quegli anni non ve n’erano".

Riaffiorano ancora, in questo lembo di ponente ligure, racconti di antiche vicende di pescatori contrabbandieri. Anche con la pronuncia di termini specifici, "fenicotteri", ad indicare le persone che si volevano trasportare via mare clandestinamente verso la Francia: vocaboli, nella storiografia e non solo, per lo più usati ad indicare i militanti comunisti che sotto il regime fascista facevano il percorso inverso, di ritorno in Italia, per ritessere contatti con la vecchia base, venendo quasi subito irrimediabilmente arrestati. Tornando ai pregressi avventurieri nostrani occorre aggiungere che a loro piaceva anche usare la parola "neri". Si tramanda che, sotto l'incombere del probabile intervento di poliziotti transalpini, talora venisse buttato a mare qualche passeggero. Che in rare occasioni questo accadesse per depredare le vittime. Non si sa, tuttavia, quanto di vero ci sia mai stato in questi racconti di frontiera.

Adriano Maini

sabato 13 luglio 2024

Il capitano Gino


 

Un libro recente si sofferma anche sulla figura del capitano Gino Punzi: Giorgio Caudano (con Paolo Veziano), “Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945” (Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024). Sul capitano Gino si era già applicato integralmente, invece, Francesco Mocci, (marito di una nipote di Luigi Punzi) in "Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano" <(con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019>, per la cui stesura l'autore si è potuto avvalere di alcune ricerche e segnalazioni, per l'appunto, del mentovato Dario Canavese, tra le quali il memoriale dell'ex poliziotto repubblichino Antonio Panascì (che collaborava clandestinamente con antifascisti della provincia di Imperia), memoriale già pubblicato integralmente nei volumi III e V della Storia della Resistenza Imperiese di Francesco Biga e fondamentale per conoscere i movimenti ed alcuni contatti del capitano Gino da dicembre 1943 al momento della sua morte. Da parte mia, dopo l'uscita del libro di Mocci, venne la segnalazione a diversi ricercatori della vera paternità di un altro documento, quello di Giuseppe Porcheddu, che, sul tema specifico, certifica i rapporti tra Punzi e l'estensore: ne ha tenuto conto Sergio Favretto per il suo Partigiani del mare. Antifascismo e Resistenza sul confine ligure-francese (Seb27, Torino, 2022).

Mi preme allora riepilogare - può essere utile come se fosse una sorta di recensione - come pian piano ho conosciuto questo eroe della Resistenza.

Tutto cominciò quando pubblicai su di un mio vecchio blog qualche nota, desunta da alcune testimonianze di momenti della Resistenza comprese in "Gruppo Sbarchi Vallecrosia" (Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2007) del compianto Giuseppe “Mac” Fiorucci, in cui apparivano brevi riferimenti alla tragica morte del capitano Gino Punzi.

Dapprima mi chiese notizie un lontano cugino del capitano, che (desumo) ha messo in moto altri familiari per la stesura della menzionata, notevole biografia di Gino Punzi, molto ampia soprattutto per quanto cocerne gli anni della sua carriera militare. Indi mi contattò il nipote di un partigiano francese già operante a Peille, villaggio non lontano da Nizza, perché gli risultava in modo ufficiale che il capitano Gino aveva combattuto nel locale maquis. Poco dopo ancora un esponente del Gruppo Alpini a riposo mi annunciò che era stata appena rinvenuta, abbandonata in una discarica, la croce di marmo dedicata appena finita la guerra al capitano.

Non ho, come faccio tuttora, approfondito la combinazione dei succitati avvenimenti, ma penso che siano stati tutti utili a varie iniziative, non solo quelle sin qui citate, ma anche altre, come il riposizionamento, avvenuto alla presenza di familiari del capitano, della lapide in Sant’Antunin di Ventimiglia, sito simbolo del locale Gruppo Alpini.

Aggiungo con mie parole: il capitano Gino era stato insignito nel 1948 di medaglia d’argento al valore militare alla memoria con la seguente motivazione “Combattente in territorio oltre confine non si arrendeva ai tedeschi ed in impari lotta opponeva fiera resistenza mantenendo alto l’onore e il valore del soldato italiano. Benché ferito riusciva a sfuggire alla cattura e unitosi al movimento clandestino francese organizzava la partecipazione al “Maquis” di formazioni partigiane composte di connazionali in Francia. A Peille, Peiracava e alla Turbie si univa ad essi ed eseguiva ardite missioni per collegare e coordinare nella zona di frontiera ed in quella rivierasca l’azione dei partigiani francesi e italiani. Mentre rientrava alla base di ritorno da una missione particolarmente rischiosa, veniva proditoriamente colpito da un sicario prezzolato che lo finiva a colpi di scure. Cadeva nel compimento del dovere dopo aver riassunto nella sua opera le belle virtù come militare e partigiano d’Italia” - Alpi Marittime - Ventimiglia, 8 settembre 1943 - 6 gennaio 1945”. La data dell’assassinio del capitano, tuttavia, dovrebbe essere quella del quattro gennaio 1945.

Ho rinvenuto in mie ricerche diverse volte brevi accenni alle iniziative di Punzi: ne ho talvolta riportato gli estremi in altri miei blog più mirati sulla storia, per lo più intrecciati a testimonianze di altri valorosi partigiani, per cui mi dispiace alquanto non riprendere in questa occasione tante fila di un discorso affascinante, benché complesso.

Sono rimasto, invero, affascinato dalla parabola di combattente per i valori della democrazia, della libertà e della lotta contro il nazi-fascismo del capitano Gino, venuto a morire nella mia città natale dalla lontana Acquafondata (FR), dove era nato nel 1917. Intrigante sarebbe anche appurare in quale veste alla fine del 1943 (gli Alleati erano ancora lontani da questo confine marittimo italo-francese) il Punzi iniziasse ad operare per la creazione di una rete clandestina di spionaggio e di azioni antifasciste. Una domanda che appare anche nel citato libro di Mocci.

Adriano Maini

martedì 9 luglio 2024

Anche una fotografia di Noack in una tesi di laurea dedicata ad Apricale e a Castelvittorio

Foto: Alfred Noack. Fonte: tesi cit. infra

C'è anche una bella fotografia fatta dal grande Alfred Noack nella tesi di laurea di Juliane Soi Deligiannis ("Irregularity in repetition. Vernacular architecture as source for aesthetic resilience in the contemporary generation of mass-produced residential environments", Politecnico di Milano, Anno accademico 2020-2021), si presume riguardante Castelvittorio (un altro paese messo a fuoco è Apricale). Si ricorda che Noack operò in Riviera Ligure di ponente a fine Ottocento.
Si sottolinea che il documento qui sotteso è scritto in inglese, per cui non ne verranno fatte - almeno per il momento - trascrizioni acconce (che comportano traduzioni che è meglio non rischiare ad oltranza!), neppure nei blog antologici collegati - come si può notare nella colonna di destra - a questo.

Prima di procedere, per aiutare (forse!) a comprendere il contesto, si riporta una estrapolazione del riassunto in italiano, fatto da Juliane Soi Deligiannis: "... La tradizione vernacolare è stata scelta come oggetto di analisi poiché spesso rappresenta l'espressione estetica collettiva di più generazioni di abitanti e costruttori non professionisti, dimostrando ancora oggi un'immensa resilienza estetica. Per prima cosa vengono esaminate le teorie nel campo dell’architettura e nel campo filosofico dell’estetica, quindi viene realizzato un rilievo qualitativo estetico tipologicamente strutturato sulle abitazioni vernacolari di Apricale e Castelvittorio...". Dove l'aggettivo "vernacolare" viene probabilmente usato come sinonimo di aspetti concernenti paesi in altura dell'entroterra.

Foto: autore ignoto. Fonte: tesi cit. infra

Nella tesi c'è un'immagine di autore ignoto, datata 1900, in cui si vede il Municipio di Apricale.

Fonte: tesi cit. infra

Fonte: tesi cit. infra

Fonte: tesi cit. infra

Ci sono anche diverse fotografie attuali di angoli dei borghi di Apricale e di Castelvittorio, ma si preferisce produrre (anche perché i due ridenti paesi sono abbastanza noti) qualche esempio - che si spera leggibile anche senza didascalie - di disegni tecnici della richiamata tesi.



Non si può resistere, comunque, alla tentazione di tentare un raffronto per Apricale con due scatti realizzati intorno al 1969 da un gruppo di volonterosi fotografi, tra i quali Alfredo Moreschi, che ne ha conservato in archivio la produzione, fotografi all'epoca in cerca di "realismo" nella zona che va da Taggia al confine con la Francia.

Adriano Maini

martedì 2 luglio 2024

Ombrellaio!!!

Vallecrosia (IM): la strada provinciale in un punto non molto lontano dal cimitero

C'era una casa, a Nervia di Ventimiglia, più o meno insistente sull'attuale ingresso dell'antico Teatro Romano, demolita concluso il secondo conflitto mondiale, una costruzione che ospitava anche un panificio, dove diversi ragazzi dell'epoca impararono il mestiere. Si fermava spesso ai tempi in quell'operoso laboratorio un ferrivecchi, arrivato da non molto dalla lontana Calabria. Tra l'ospite e gli addetti al forno l'atmosfera era sempre gioiosa, le conversazioni erano sempre amichevoli, gli spuntini erano frequenti. Ma era anche irresistibile la tentazione per gli indigeni di giocare qualche tiro all'immigrato, mettendosi a parlare in dialetto stretto: il divertimento era comunque assicurato per tutti, trattandosi di persona di spirito, destinata di lì a breve a diventare un noto ristoratore della città di confine.

Arturo Viale nel suo "Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio" (Edizioni Zem, 2022) si sofferma su di sergente dei granatieri, alto un metro e novanta, il quale, per arrotondare la paga raccoglieva ferro ed ossa (di animali, si suppone!): "il ferro serviva per qualche fucina e le ossa tritate diventavano concime", ma, finita la guerra, riapprodato a Ventimiglia, "aveva deciso di sfruttare l’altezza e si era messo a costruire i pergolati di cannicci per coltivare il verde e le serre in legno".

In quel periodo operava nella zona intemelia di frontiera anche un guaritore, una figura su cui Odovindo Del Bona ha incentrato il suo romanzo "Il mago e le streghe. Vicende dell'estremo Ponente Ligure" (Youcanprint, 2019).
In effetti l'autore (un noto imprenditore del ponente ligure che per l'occasione ha inteso celarsi sotto un nome d'arte) ha innestato dei raccordi di fantasia nella rievocazione di molte vicende reali della vita del nonno materno (e di questo ramo della sua famiglia): un'opera che merita, invero, qualche successiva specifica presentazione critica più dettagliata.
Qui preme sottolineare due situazioni, estrapolate dal contesto.
L'imposizione fatta al protagonista, nonché a sua moglie ed alla figlioletta, di sopportare la presenza forzata del "comandante Kasper" e di un drappello di soldati tedeschi al piano terra della propria abitazione, un casale parzialmente appena ristrutturato, situato non lungi dal cimitero di Vallecrosia, e di questi e di altri teutonici nel suo terreno adibito ad uso agricolo, ancorché in quei giorni tormentati praticamente abbandonato, un terreno ben presto devastato per l'allestimento di un'officina di riparazione di mezzi pesanti germanici.
E la richiesta del comandante garibaldino Vittò (al secolo Giuseppe Vittorio Guglielmo), quando Pigna era una zona libera partigiana, di curare un suo caro amico che versava colà in gravi condizioni. Il guaritore, che attraversava di continuo gli spazi di patrioti e di nazifascisti in quanto molto richiesto per le sue prestazioni, in quel caso si sentì sul serio incapace allo scopo, ma, con sua somma sorpresa, il suo tentativo ebbe successo: al ritorno fu molto attento a non fare accenni di questa vicenda all'uomo della Wehrmacht, che, anche se riconoscente per la terapia praticata alla sua sciatalgia, era sempre molto sospettoso circa gli spostamenti di chi malvolentieri lo ospitava.

In molti, specie donne, allora ed anche dopo, praticavano rimedi e medicamenti, per lo più con decotti di erbe, per malanni vari: ad esempio, si prestava attenzione ai bambini per i cosiddetti "vermi" (la tenia) ed ai più grandi per slogature, storte alle caviglie ed altri acciacchi muscolari, rispetto ai quali alcuni veri "maghi" sapevano ripristinare condizioni ottimali con la semplice (si fa per dire!), misteriosa imposizione delle mani.

Ma ambulavano, inoltre, da queste parti, come nel resto del Paese, chi sporadicamente, chi più sovente, zampognari (che la mentalità popolare individuava come nunzi di maltempo), arrotini, spazzacamini. Ed altri ancora. Un grido, forse, è rimasto più impresso in una certa memoria collettiva, quello di "Ombrellaio!!!". Mestieri in larga misura superati dalle tecniche moderne, comprese quelle che producono beni "usa e getta". Qua e là, tuttavia, si esibiscono ancora colleghi degli amici acrobati e ballerini di Mary Poppins, non del tutto sorpassati dal progresso.

E dalle spiagge si sente pure adesso qualche volta il quasi ancestrale, cantilenante annuncio "Cocco fresco, cocco bello!".

Adriano Maini

venerdì 21 giugno 2024

Genova (2)

Genova: uno scorcio della Loggia di Piazza Banchi

Si legge di un progetto di forte valorizzazione culturale della Loggia di Piazza Banchi a Genova, consistente in una sorta di innovativo museo diffuso: passerelle sospese all'interno dell'edificio per consentire la visione dei reperti scavati di recente, proiezione - visibile all'esterno - di stampe d'epoca medievale e rinascimentale sulle vetrate, altri effetti notte.
In effetti, decenni addietro la zona, compreso l'adiacente - a monte - Palazzo Senarega, era molto fatiscente: si cominciò con una invero bella ristrutturazione di quest'ultimo ed ora in qualche modo si prosegue.
Si deve solo confidare che i visitatori non rimangano troppo distratti da quanto presentano, ad esempio,  in termini di gastronomia i circostanti vicoli, Sottoripa, Piazza Caricamento, Porto Antico.
Del resto, ci sono diversi modi di amare la storia: dopo tante dimenticanze oggi nella città della Superba si intende forse passare da un'esagerazione all'altra.

Non si legge più nulla, invece, dello Stadio Carlini, sede storica di svariate displine, situato a levante del centro storico, coinvolto una dozzina d'anni fa in un disegno di forte cambiamento. Negli anni Sessanta poteva capitare che i giovani atleti partecipanti alle gare regionali di atletica leggera della categoria allievi prima di avviarsi dagli spogliatoi ai loro cimenti si avventurassero talora, facendo ticchettare i chiodini delle scarpette di gara, per errore o per fretta, sull'anello di cemento, architettato per essere una pista per il ciclismo, un'attività, quest'ultima, la quale, purtroppo, non dice più nulla al largo pubblico..

Ci si avvicina al 30 giugno, ricorrenza del comizio di Pertini in Piazza De Ferrari a Genova che avviò la ribellione composta e civile, soprattutto di tanti giovani, contro il congresso del Msi previsto ai primi di luglio del 1960 nella città simbolo per antonomasia della Resistenza, un moto di protesta dilagato presto in tutta Italia, da cui derivò la caduta del governo Tambroni, che quell'assise aveva autorizzato e che sui voti dei neo-fascisti si reggeva, e da cui risultarono confermati in modo saldo i valori repubblicani dell'antifascismo: i cortei di Genova furono chiamati "dei ragazzi dalle magliette a strisce", indumento molto diffuso in quel frangente perché venduto a prezzo molto economico da un grande magazzino, e di quel novero fecero parte anche persone del ponente ligure o che in questo lembo di terra di lì a breve si trasferirono.

Adriano Maini

domenica 16 giugno 2024

Un po' prima dei carri de "I Galli del Villaggio"


Capita di riprendere in mano un vecchio libro sulla Battaglia di Fiori di Ventimiglia per cercare almeno il nome della compagnia di carristi con la quale aveva collaborato nei primi anni Sessanta - addirittura potendo usufruire di una specifica licenza dal servizio militare di leva - un vecchio conoscente, smemorato, ma nostalgico. Si risolve parzialmente il quesito, individuando il gruppo, ma non - salvo due - i carristi. Ci si è arrivati anche incrociando i dati ricavati dalla lettura con quelli emersi da conversazioni con persone che ben conoscono la strada dove era ubicato il capannone.

A questo punto è doveroso citare il ponderoso volume "Battaglia dei Fiori" di Danilo Gnech, Franco Miseria e Renzo Villa (Dopolavoro Ferroviario di Ventimiglia, Cumpagnia d'i Ventemigliusi, Civica Biblioteca Aprosiana - 1987). Si tratta di una vera e propria miniera di informazioni, che non può, tuttavia, essere del tutto esauriente, proprio per la massa sterminata di notizie, concernenti le brevi analisi di decine di edizioni della manifestazione (dal 1921 al 1938; poi l'interruzione per la guerra; quindi, dal 1948 sino al 1969; poi, le due, una del 1984, l'altra del 1985) e la pubblicazione di centinaia di fotografie, desunte quasi tutte dallo storico archivio di Foto Mariani di Ventimiglia.

Accade che in occasione della mentovata ricerca, venga, altresì, in mente di tentare di appurare le specifiche di carri che, considerate le fotografie - focalizzate sulle persone ritratte, con inquadrature, dunque, solo parziali dei carri - portano a propendere per riferimenti a Bordighera e per una datazione talora risalente ai primi anni Cinquanta.


Ci si inizia, però, a distrarre. Sono troppi i particolari curiosi che si riscoprono nella grande mole di documentazione, solo sfogliata negli anni per parziali consultazioni, o che si notano per la prima volta.
Diventa irresistibile la tentazione di citare alla rinfusa, senza neppure risalire a prima dell'ultimo conflitto, periodo foriero di tanti altri eventi, partigiani e reduci della recente guerra impegnati in qualche modo con i carri; personaggi noti ed altri meno noti, ma caratteristici; carri non solo provenienti da Bordighera - ma questa circostanza è scontata - da Camporosso, da Vallecrosia, cittadine limitrofe della zona intemelia, ma anche, in almeno in un caso da Nizza - o costruito in loco per conto del capoluogo del dipartimento delle Alpi Marittime.
Viene spontanea una divagazione su Vallecrosia, suscitata dalla reminiscenza del racconto di una ex staffetta partigiana, che a suo tempo, per contribuire finanziariamente alla costruzione del carro del suo gruppo, aveva rinunciato a comprarsi l'agognato ciclomotore: i garofani per infiorare all'epoca erano gratuiti - congiuntura sulla quale qualcuno ha scritto pagine molto belle, che sarebbe d'uopo rivisitare - per cui era sufficiente andare a raccoglierli, ma qualche spesa pur sussisteva e, se non si vincevano premi, rimborsi pubblici, anche parziali, pare non sussistessero.
Anche a Vallecrosia si cimentarono sodalizi ispirati da riviste dell'area comunista; anche da Vallecrosia salirono sui carri belle ragazze e gagliardi giovanotti, compreso il negoziante più anarchico che comunista, fine intellettuale che conosceva tutti (tra questi Angelo Oliva, Francesco Biamonti, gli animatori dell'Unione Culturale Democratica di Bordighera). Nel libro "Battaglia dei Fiori" vengono poi citati i fratelli Tardito di Vallecrosia come gruppo carrista: in sostanza, una didascalia a corredo di uno scatto abbastanza buffo del quale basta dire che riprende un motociclo più o meno infiorato, con più persone a bordo, di cui una chiaramente è un uomo travestito (male!) da donna, il tutto per ricreare un soggetto da sfilata dal titolo emblematico (oggi lo si definirebbe molto scorretto) "Le zitelle". Quasi sicuramente gli autori hanno inteso menzionare Elio ed Ivo Tardito, i quali ben conoscevano il commerciante di cui si è già detto, ma di loro va anche rammentato il grande impegno successivamente profuso nel Cine-Foto Club di Vallecrosia, altra associazione che meriterebbe qualche appropriata rievocazione.

Tornando all'argomento dei carri di Bordighera ad inizio anni Cinquanta si sottolinea, a mero titolo indicativo, che nel 1948 avevano già partecipato alla Battaglia di Fiori l'opera "Omnibus dell'Ottocento" della compagnia - o gruppo - Anzio-Sasso, nel 1949 il carro "India" (Sicilia-Parmeggiani) e quello "Corbeille" (Azienda Autonoma Turismo), nel 1950 "Il sedile dei pensieri" (sempre Sicilia-Parmeggiani).
 


Con "Tempio proibito" (Giuseppe Tomatis) del 1954 si è, forse, arrivati al primo riscontro positivo tra una fotografia e gli atti, per così dire, ufficiali della Battaglia di Fiori: nell'immagine si vede almeno un protagonista dei futuri trionfi (anni Sessanta) dei carri de "I Galli del Villaggio". Si fa notare di passaggio che si sono fatti scomodare nell'indagine alcuni interlocutori, autorevoli in materia, comunque, rimasti presi alla sprovvista.
Ai carristi de "I Galli del Villaggio" di Bordighera ha reso per lo meno onore Renato Ronco con l'articolo intitolato per l'appunto "I Galli del Villaggio", compreso in (a cura di) Pier Rossi, Racconti di Bordighera - 2, Alzani Editore, 2018.

Rimangono, rispetto ad immagini attinenti la Battaglia di Fiori e Bordighera, altri inediti da appurare, probabilmente, anche errori da rimediare.
Del resto, quello relativo alla desueta manifestazione popolare ventimigliese è un romanzo che ogni persona interessata scrive per conto suo.
Forse, per molti motivi, una storia irripetibile, ma sempre foriera, per chi interessato, di ulteriori spunti narrativi.
E, forse, è meglio che restino ancora nell'alone del mistero le prime due fotografie qui pubblicate, la prima delle quali potrebbe anche essere fuori lo stretto tema.

Adriano Maini