martedì 10 giugno 2025

Frittelle di baccalà e farinata a Sottoripa

Genova: uno scorcio di Sottoripa

Ancora oggi poche persone, recandosi a Genova, resistono alla tentazione di assaporare subito la focaccia, quella tagliata a strisce di forma ben rettangolare, magari rinunciando a quella che ritengono la migliore, ma servita in locale più lontano dalla prima meta, in genere con la riserva mentale di rimediare in seguito. E ci sarà anche qualcuno che esprimerà altre preferenze, fosse pure per analoghe delizie di Via Paleocapa a Savona.
Alla svolta degli Ottanta un assessore comunale di Ventimiglia, quando andava in missione presso la Regione, si faceva poi condurre, insieme all'eventuale accompagnatore, dall'autista, quindi con una discreta deviazione, ad una taverna sita all'ombra della Lanterna: a tavola sorrideva sornione lo chauffeur, mentre ascoltava le lodi profuse dall'uomo politico circa la tipica trippa, che aveva praticamente imposto a tutti i suoi commensali, e non si esimeva di gettare di tanto in tanto un'occhiata all'acquaio da cucina che faceva da separazione della grande sala comune.
Un funzionario di associazione di categoria, ormai esperto di ristoranti tra i più diversi di Genova, stupiva talora i suoi ospiti con deliziosi primi piatti agli scampi, peculiari di una locanda allocata in un vicolo, piccola traversa di Via Garibaldi verso la Maddalena, dunque a pochi passi da Piazza delle Fontane Marose, ma una stanza molto modesta con almeno un tavolo molto prossimo a tre alti gradini sui quali si apriva la porta della - come si diceva un tempo -  ritirata.
Un altro funzionario, imperiese, della detta organizzazione aveva scoperto sulla collina di Carignano, non lontano dal distretto militare, un esercizio la cui specialità erano sughi e ragù con ampio utilizzo di foglioline di piante aromatiche quali rosamarino, origano e similari: facile che molti clienti vi ci recassero affrontando da ponente l'erta Salita San Leonardo, senza magari neppure accorgersi dell'esistenza della palazzina della Federazione del Partito comunista.
Una ventina di anni addietro tre distinte signore, impiegate di segreteria di un istituto scolastico dell'estremo ponente ligure, ammesse per simpatia al seguito di una gita di istruzione a Genova, al momento del pranzo, vuoi per scelta vuoi per opportunità, si fiondarono subito in una taverna di Sottoripa, degustando chi frittelle di baccalà, chi farinata, ma trovando tutto squisito, come avrebbero a lungo raccontato in famiglia.
A metà dei Sessanta alcuni adolescenti di una squadra di atletica leggera di Sanremo in trasferta nel capoluogo, nel corso della libera uscita successiva alla cena s'imbatterono in Largo XII Ottobre in uno di quei bar appena aperti da una delle due industrie sino ad allora famose per i panettoni e scoprirono gelati - di pochi gusti, invero - che venivano versati nei coni azionando i rubinetti di apposite macchinette.
Era ancora un periodo in cui ferrovieri e non affollavano la mensa del Dopolavoro di categoria, trovando tutto buono, anche se non sempre caratteristico.
Cioccolata, caffé, tè, cioccolato, pasticcini, biscotti vari, dolciumi in genere approcciano, invece, ad una certa gastronomia genovese ed a locali di lusso in quel della Superba, con, ad esempio, punti di eccellenza a Nervi, non fosse altro che per le splendide viste sul mare.

Adriano Maini

mercoledì 4 giugno 2025

"Avevina" e "corsetta", treni d'antan

Sanremo (IM): l'ex stazione ferroviaria


Le Ferrovie dello Stato, in collaborazione o per conto dell’agenzia di viaggi A.V.E.V., organizzò, impiegando alla bisogna i propri dipendenti, per alcuni anni viaggi di andata e ritorno Milano-Sanremo a disposizione non solo dei giocatori del Casinò della città dei fiori, bensì, specie nella bella stagione, dei padri di famiglia che volevano raggiungere per poco più di una giornata i loro cari in vacanza al mare. 
La partenza da Milano era al sabato alle ore 14.42 con arrivo a Sanremo alle ore 19.10. Da Sanremo si tornava a Milano alle 9.17 del lunedì. Non risulta fossero previste fermate intermedie.
Si tramanda che questo “direttissimo” abbia svolto le sue funzioni dal 1948 al 1958. Il mezzo utilizzato era una più o meno classica “Littorina”, come si diceva ancora alla soglia degli anni Sessanta, ribattezzata - non ci si si ricorda quanto ufficialmente - “Avevina”, mentre una pubblicità la definiva “freccia Aurelia”. 
Si potrebbe risparmiare per l’occasione l’astruso nome tecnico del mezzo, ALtn.444.3001, ma non almeno un accenno al fatto che si era proceduto all'adattamento di un mezzo d'anteguerra, rispetto al quale i progettisti, inserendo una torretta belvedere - altro appellativo talora usato - si era forse ispirati ai vista-dome americani: in ogni caso l'esperimento fece da modello per altri treni all'epoca considerati più o meno di lusso.
La vicenda aveva interessato qualche anno fa il grande fotografo di Sanremo Alfredo Moreschi, che aveva reperito notizie sparse sull'argomento da inserire nel sito dell'Archivio di immagini di famiglia.
Il servizio del rientro a Milano era assicurato dai ferrovieri di Ventimiglia, che, per recarsi a questo lavoro, abitualmente salivano su precedente convoglio, così come per il ritorno da Milano prestavano la loro attività su di un altro treno.
Quei ferrovieri di Ventimiglia, dal gergo colorito concorrenziale con quello di altri addetti ai trasporti, quali carrettieri e marinai, avevano, invero, ribattezzato quella "littorina", alludendo con un epiteto molto salace a certe possibili conseguenze delle lunghe assenze dei mariti.

Ospedaletti (IM): l'ex stazione ferroviaria

Santo Stefano al Mare (IM): la zona dell'ex stazione ferroviaria 

Una "corsetta" nel 1958

Uno scorcio di Imperia

Sempre quei birboni dei ferrovieri di Ventimiglia preferirono chiamare tra di loro "corsetta" un "accelerato" che grosso modo nella seconda metà degli anni Cinquanta, partendo da Ventimiglia più o meno poco dopo l'ora di pranzo, si arrestava alla stazione di Imperia Oneglia. Vi è da notare che, essendo ancora avveniristico lo spostamento a monte della linea, le fermate intermedie erano veramente tante: Vallecrosia, Ospedaletti, Bordighera, Sanremo, Arma di Taggia, Riva - Santo Stefano (stazione unica sul confine tra le due cittadine), San Lorenzo al Mare - Cipressa, Imperia Porto Maurizio. Il treno ripartiva, facendo la stessa trafila dell'andata, per rientrare a Ventimiglia per l'ora di cena. E si è persa la memoria di quali fossero in prevalenza gli utenti, molti dei quali, se salivano nella città di confine, probabilmente erano statali con incarichi solo mattutini, mentre la casistica per chi gravitava sul capoluogo provinciale e nelle località intermedie dovrebbe essere stata di tipo più corrente.
Si possono aggiungere delle note curiose. Essendo la sosta ad Oneglia di macchinisti, capitreno e conduttori abbastanza prolungata, poteva capitare che qualcuno di loro spendesse il tempo libero entrando in un cinema, il che attesta che anche in provincia a quei tempi erano aperti dei locali di seconda, se non terza visione, un aspetto comunque di rilievo sul piano sociale e su quello del costume. Anche in questi casi, come spesso per Milano, accadeva che qualche ferroviere portasse con sé un figlio o due, magari soprattutto pensando alla bella sorpresa che poteva essere data dalla visione di un bel film: solo che qualche volta nel buio di una sala poteva succedere che un piccolo rimanesse intimorito, per cui il genitore lo accompagnava fuori abbandonando, senza rimborso di biglietti, le poltrone, magari lasciando indietro un pargolo più grande, da andare a ripescare finita la proiezione.
Ad Oneglia c'era anche altre distrazioni ed attrazioni, soprattutto il porto, ai tempi sul serio uno scalo commerciale, sulla cui calata e sul cui molo corto spiccavano cumuli di merci varie: una zona collegata alla stazione ferroviaria da binari colocati su arterie cittadine, binari sono a non molti anni fa ancora utilizzati - con evidenti intoppi per l'aumentato traffico stradale - per una nota fabbrica purtroppo ormai chiusa.

Da tanto, poi, per lo meno da quando la S.N.C.F., la società transalpina, ha pensato di rinunciare in modo definitivo alle vaporiere, permane ancora la necessità di congegni ed accorgimenti tecnici per garantire il passaggio dall'elettrificazione francese (1500 V in corrente continua) a quella italiana, con locomotori - come scrivono gli esperti - "alimentati a mezza tensione fino a una sezione di separazione 1500/3000 V", questa situata in un punto prossimo all'ex Seminario di Bordighera.

Adriano Maini

domenica 1 giugno 2025

A Marsiglia, invece

Marsiglia: Canebière e Palais de la Bourse. Fonte: Wikipedia

Un giovanotto, nato e residente ai Gallinai di Bordighera, che in seguito avrebbe fatto altre brevi esperienze lavorative in trasferta in Svizzera, a Verona ed in Germania, aveva già militato in un campionato inferiore di calcio nel Grasse con mansioni - procurategli dai dirigenti della squadra - da cameriere da espletare più vicino al mare, sempre in Costa Azzurra, ma una volta, ancora negli anni Cinquanta, un breve rodaggio da migrante lo fece a Marsiglia: ne avrebbe in pratica solo ricordato la rudezza, ad usare un eufemismo, usata dalla polizia in un banale, banalissimo caso di accesa discussione sedata a manganellate, quando proprio non sarebbe stato il caso, tra italiani, forse disprezzati come gli algerini all'epoca in rivolta contro la Francia.

Gianfranco Raimondo nel 1950 si trovava con la madre a Marsiglia in visita alla zia. Adolescente appassionato delle due ruote, ebbe l'occasione di fare con comprensibile emozione un salto all'albergo che ospitava la squadra nazionale italiana di ciclismo che partecipava al Tour de France per vedere i suoi beniamini: gli capitò di ritrovarsi in una fotografia di gruppo con quel fiore di campioni e di gregari pubblicata sul più noto quotidiano sportivo della Penisola, ma con una didascalia che lo descriveva come povero bambino italiano emigrato Oltralpe, perché l'autore dello scritto, data la permanente bassa statura di Raimondo, non si era accorto che si trattava, invece, di un quindicenne! Ed in quel luglio particolare i crucci di Gianfranco furono anche quelli per il ritiro, imposto da Bartali offeso per le continue intemperanze degli spettatori transalpini, della compagine azzurra, per di più con la rinuncia alla maglia gialla, simbolo del primato in quella corsa, ormai saldamente indossata da Magni.

Giuliano Pajetta, già combattente in difesa della Repubblica in Spagna, aveva fatto le sue prime esperienze di lotta di Liberazione proprio nel sud della Francia, prima di portarsi nel nostro Paese dove, ispettore in Lombardia delle Brigate partigiane "Garibaldi", venne poi catturato dalle SS per essere deportato in un lager, dove fu protagonista di un'epica rivolta contro i nazisti, ma in quella primavera del 1983 era a Marsiglia in qualità di responsabile della Commissione Emigrazione del Partito comunista italiano. Terminata la riunione con i compagni francesi, fece fare al suo accompagnatore, che doveva tornare nel ponente ligure, una breve camminata lungo la Canebière di Marsiglia, la lunga strada che conduce al Porto Vecchio, illustrando quanto di carattere sociale e di costume fosse da lungo tempo rilevante come caratteristica delle frequentazioni di quell'arteria. Il giovane funzionario recepì, invero, ben poco di quelle affabulazioni, perché tutto teso a formulare domande sul passato militante di quell'illustre dirigente, di cui, del resto, aveva appena letto il formidabile libro "Douce France", ambientato in Provenza ed imperniato sulle iniziative clandestine di un attivista comunista italiano tra un arresto ed un altro. Ma non ci furono risposte, se non molto evasive, come sempre capitava anche ai suoi più stretti collaboratori, se a Pajetta venivano posti quesiti su suoi trascorsi antifascisti.

Jean-Claude Izzo, invece, forse è stato l’ultimo grande cantore di gruppi di belle ragazze a passeggio sulla Canebière per destare l’ammirazione maschile, uno dei temi invero sollevati da Giuliano Pajetta. E di sicuro nelle opere di Izzo Marsiglia e dintorni assumono contorni quasi magici: si sentono l'odore del mare, i profumi dei fiori e delle erbe mediterranei, i sapori di cibi cosmopoliti; si palpita per personaggi che sembrano usciti da una canzone di Francesco De Gregori; certi "cattivi" sembrano un po' esagerati, ma fanno rinviare con il pensiero alle tante trame criminali realmente esistenti di qua e di là della frontiera.

Molto spesso la letteratura ed il cinema si sono occupati di Marsiglia: il materiale per analizzare tanti altri aspetti di questa metropoli non manca di sicuro!

Adriano Maini

mercoledì 28 maggio 2025

Hammett, Dashiell Hammett


Scrivere qualche riga su Dashiell Hammett (al secolo Samuel Dashiell Hammett) può risultare significativo per diversi aspetti.

Hammett é soprattutto noto per il romanzo  "Il falco maltese", talvolta tradotto come "Il falcone maltese", da cui venne tratto un film, in italiano "Il mistero del falco", del 1941, diretto da John Huston e interpretato come attori principali da Humphrey Bogart e Mary Astor, ma del cast si può almeno ricordare Peter Lorre, già attore prediletto in Germania dal grande Fritz Lang. 

Si intende comunemente che da Hammett discenda la Hard-Boileid School, la genia, insomma, dei duri investigatori privati: nel senso di dignità letteraria é senz'altro così, ma sul piano storico le storie violente, prese dalla strada, erano già approdate, benché con stile ancora fumettistico, su riviste già molto diffuse negli anni '20 in America, destinate ad essere ben presto definite pulp magazine, riviste sulle quali Hammett fece congruo esercizio una volta lasciata (anche perché ne vedeva tante azioni criminose) la Pinkerton, storica agenzia di investigazioni.

Hammett scriveva bene. E lo dimostrò in un ristretto numero di opere, tra cui spiccano quelle con protagonista un dipendente, persona di mezza età senza avvenenza fisica, della Continental, sin troppo trasparente riferimento alle sue pregresse esperienze nel ramo. Ma con "L'uomo ombra" (così in italiano) introdusse sulle scene, anche di due film interpretati da Myrna Loy e William Powell, una coppia di brillanti coniugi, investigatori loro malgrado.

Molto ci sarebbe da dire sull'autore Hammett, cui volle dedicare un preciso omaggio il suo primo degno emulo, quel Raymond Chandler che fu l'inventore di Philip Marlowe, il private eye per antonomasia, ma vorrei fare altre osservazioni.

Appare, inoltre, come un degno rappresentante, anche se fu lui stesso giocoforza un self made man, dell'altra America, quell'America che non pratica il culto cieco e fanatico del successo individuale ad ogni costo, così foriero in quel grande paese di ogni più bieco conservatorismo, per non dire peggio. Fu costretto dagli amari casi della vita a lavorare alle dipendenze della Pinkerton, agenzia privata di investigazione, ai suoi tempi specializzata nella prezzolata repressione violenta degli scioperi, in cui probabilmente non fu coinvolto, ma che dovette pur conoscere. Al fronte nella prima guerra mondiale contrasse la tubercolosi, che lo avviò quasi di sicuro all'alcolismo. Andò volontario nel secondo conflitto e gli affidarono la redazione di un giornale dell'esercito. Fu vittima del maccartismo proprio nel momento in cui si era riuscito a liberarsi da quel vizio. Ironia della sorte é sepolto, in quanto veterano di due guerre, al cimitero nazionale di Arlington.

Fu compagno di vita di Lillian Hellman, l'autrice di "Piccole volpi", che tornò per gli ultimi anni prima della morte, avvenuta nel 1961, a soccorrerlo ormai povero, perché spogliato per rappresaglia dal fisco, Hellman che forse è stata l'erede della maggior parte dei suoi diritti letterari. Si lega a questa tormentata storia d'amore la sottolineatura di un bel film del 1977 di Fred Zinnemann, "Giulia", basato sul romanzo "Pentimento", appunto della Hellman, dove la protagonista (interpretata da Vanessa Redgrave), amica di Lillian (Jane Fonda), é destinata consapevolmente, nonostante il tentativo di dissuasione anche di Hammett (un magnifico Jason Robard, fisicamente molto somigliante), a scomparire nell'inferno nazista

Gore Vidal ha scritto il romanzo noir "Hammett", nel quale Dashiell, non ancora autore affermato, vive di stenti e di pericoli. Altri, ancora, si sono cimentati a scrivere di lui. Un romanziere italiano fa persino incrociare in un breve racconto un Hammett, ancora alle dipendenze della Pinkerton, con quel Roscoe "Fatty" Arbuckle ormai sull'orlo del precipizio del suo tragico destino. Quest'ultimo, grande comico del cinema muto era stato accusato di uno spaventoso delitto a sfondo sessuale, ma forse la donna del cui oltraggioso assassinio fu incolpato morì invece di peritonite. Arbuckle, nonostante l'assoluzione, venne condannato all'ostracismo, per finire di lì a pochi anni a morire di crepacuore, come sostenne nella sua versione Buster Keaton, unico suo vero amico. 

A rileggere oggi Hammett si avverte talora il trascorrere del tempo per quanto concerne le trame, ma la forza delle sue innovazioni letterarie, per non dire della sua pura classe, rimane avviso intatta. Ci ha lasciato anche, a guardare bene, un vasto affresco storico della vita sociale e della civiltà materiale dell'America degli anni '20 e '30: sarebbe sufficiente fare gli esempi del proibizionismo e dell'immigrazione clandestina dal Messico, già esistente all'epoca. È stato anche un attento osservatore di uomini, quasi un forgiatore di aforismi.
 
È stato pubblicato anche in Italia, insieme ad altri, l'ultimo suo racconto, incompiuto, "Tulip": il narratore, anonimo, ma scrittore affermato prima di finire in galera per un reato non precisato, descrive la difesa della propria libertà creativa da anni di insistenze, inascoltate ed eluse, di questo strano Tulip che pretende di imporgli almeno una certa storia personale.

Non scrisse poi tanto, Hammet, ma si può concludere una breve analisi della sua attività anche con un semplice riferimento alla figura dell'investigatore privato Continental Op, questa sì molto basata sui trascorsi professionali dell'autore in seno alla Pinkerton.
 
Adriano Maini

domenica 18 maggio 2025

I chierichetti apprezzarono il vino della messa

Ventimiglia (IM): uno scorcio di Nervia

L'11 febbraio, anniversario dei Patti Lateranensi, fu per lungo tempo una festività. Nei primi anni Sessanta in uno di quei giorni di vacanza dalla scuola, il parroco di Nervia, dopo aver celebrato la Messa, condusse lungo tutti i tornanti che portano sino a Colle Melosa sulla sua 600, stipati all'inverosimile, certi suoi chierichetti, ai quali si era aggiunto per l'occasione il fratello maggiore di uno di loro. Del resto, quello era il periodo dove proprio nella parte iniziale della provinciale di Val Nervia, almeno sino a Dolceacqua, si vedeva talora transitare un motocarro Ape qui già citato con il cassone affollato di ragazzini e di ragazzotti posizionati per lo più in piedi.
Tornando ai primi virgulti menzionati occorre aggiungere che, dopo una parca colazione offerta dal ristorante gestito dai nipoti del prete, fu per loro di un certo spasso scivolare sulla scarsa neve presente utilizzando a mo' di slitte certi schienali di sedie impagliate ormai in disuso.
Quel curato non era nuovo ad improvvisate di quel tipo, anche se per la maggior parte si concludevano al Don Bosco di Vallecrosia. C'era anche, aperto un po' a tutti, un salone, dietro la chiesa, con un televisore che funzionava a singhiozzo, ma che fece conoscere a chi non aveva ancora simile apparecchio a casa cartoni animati come Pow Wow e telefim come Ivanhoe, un tavolo da ping pong ma colmo di libri alla rinfusa, alcuni di sicuro sfuggiti alla censura indotta dai piani alti, quelli della Conferenza dei vescovi italiani, gli stessi che avevano messo all'indice fumetti poi diventati famosi come Tex Willer, ed altro ancora: forse quello spazio sociale creò qualche problema, perché ad un dato momento non fu più utilizzabile. Il buon parroco probabilmente sapeva anche che quei monelli dei suoi assistenti assaggiavano di nascosto di tanto in tanto il vino della messa, trovandolo semplicemente delizioso, ma lasciava correre: una pratica di sicuro diffusa in tanti luoghi.

Non tutti gli studenti del Liceo Ginnasio di Ventimiglia sapevano allora che l'insegnante di religione, un altro sacerdote, alquanto ingessato nella dottrina, ma aperto sul sociale propugnando nelle classi il discorso di Mani Tese, era stato e, di sicuro era ancora, una figura molto apprezzata dai boy scout della città.

Venne poi il momento, per Ventimiglia e zona, di boy scout, per così dire, laici, i Pionieri, associazione molto prossima al Partito comunista, che li ospitava nella sua sede in centro.
La loro attività somigliava nei modi a quella dei primi. Tra le loro gite, fece una certa impressione quella che, discretamente affollata, li portò in una domenica di inizio dei Mondiali di calcio del 1974 a La Roquette-sur-Siagne, dove, organizzato dal vicesindaco, poterono fare un bel pranzetto in un refettorio scolastico. Altre escursioni, più limitate, venivano fatte su di un pullmino di seconda o terza mano, che era già stato a disposizione di un complesso musicale.
Ed ai Pionieri di Ventimiglia Guido Seborga, forse ispirato da un personaggio già apparso su queste colonne, donò una grande tela improntata al suo tipico stile di pittura ideografica.

Nei primi anni Novanta i boy scout di base al Don Bosco di Vallecrosia furono molto tormentati dalle zanzare nel loro campeggio ubicato in collina in uno spicchio della provincia di Alessandria più vicino ad Asti. Una madre, anche accompagnatrice della comitiva, provvedeva non solo a lenire con pomate tanti pruriti, ma anche a consolare alcuni piccini nostalgici della famiglia.

In quel periodo due genitori di boy scout di Genova si frequentarono nel portare i figli alle loro specifiche iniziative e trovarono il modo di appurare un comune conoscente, chi come collega, chi come compagno di sventura in una rocambolesca - tutta da raccontare! - staffetta 4 x 100 ai campionati studenteschi imperiesi di atletica leggera del 1964.

Adriano Maini

martedì 13 maggio 2025

Quelle rose del deserto



Stefano era stato uno dei ragazzi dalle "magliette a striscie" che, infiammati dal comizio di Sandro Pertini del 30 giugno 1960 in Piazza De Ferrari, avevano costituito la spina dorsale delle imponenti manifestazioni dei primi di luglio di quell'anno, le quali, pur funestate dalle brutali cariche della polizia, avevano infine impedito lo svolgimento del congresso dei neofascisti del Msi a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza.
Pochi anni dopo questi eventi, capostazione a Ventimiglia, prese ad abitare tra Vallecrosia, dove confermò la sua iscrizione al Partito comunista, e la zona di confine con la Francia.
Fu dirigente locale del sindacato di settore della Cgil, allora in sigla denominato S.F.I., la cui sede, con il nuovo appellativo, comprensivo di tutti i trasporti, è rimasta tale e quale presso lo scalo. Ostinato nelle sue idee, venne presto in contrasto con altri colleghi. Aveva fatto, comunque, in tempo ad animare il Dopolavoro Ferroviario anche con un cineforum, così teatro di forti dibattiti, che altri, non lui, fecero in modo di chiudere, e a collaborare con altro dinamico e simpatico ferroviere per la realizzazione di gite in Costa Azzurra, tra cui rimase memorabile quella sino ai musei di Saint-Paul-de-Vence: in ogni caso faceva in modo che fossero presenti anche persone non dello stretto ambiente.
Dei viaggi che privatamente fece all'estero il figlio di un altro ferroviere conserva ancora la fotografia che li ritrae davanti al più famoso ponte di Londra, il "Tower Bridge", insieme ad una occhialuta graziosa ragazza, di cui non si sa più niente.


Di Silvano in particolare, nativo della Bassa Mantovana, quasi sempre poi residente in Bordighera, si potrebbe scrivere un libro.
Un cenno a lui l'ha fatto invero Giuseppe "Mac" Fiorucci nel suo Ibrahim, i datteri, il pesto. Tragicomiche di un vallecrosino nel deserto della Libia di Gheddafi (Associazione Culturale "Il Ponte" - Vallecrosia, 2011).
Anche Silvano come capo squadra e in seguito capo cantiere aveva lavorato in Libia, ma non solo: ne riportava spesso splendide rose del deserto che donava agli amici, che, disattenti loro o i loro familiari, si ritrovavano spesso sbriciolati in casa quei magnifici cristalli, così che non è dato recuperare pertinenti scatti in chiave nostrana.
Andando a ritroso, si può puntualizzare che Silvano, a lungo militante comunista, si ritrovò, sospinto dal vero incaricato, a fare tanta campagna elettorale a favore della legge sul divorzio, sottoposta al referendum del 1974, tra gli emigrati italiani nel Nizzardo. Conobbe connazionali ceramisti di Vallauris, dai quali l'anno dopo prese a rifornirsi per un commercio che lo portò sia ad esporre alla Fiera di Milano che ad aprire un negozio davanti all'oggi diruto Mercato dei Fiori di Vallecrosia, area nella quale si tengono di tanto in tanto mercatini e piccole fiere.
Ancora prima aveva fatto l'esperienza di guardia notturna, mestiere che aveva convinto a fare abbracciare anche a Zambo dei Gallinai, che, però, a Verona, con quella divisa volle rimanere solo pochi mesi, oltretutto presto imitato dal suo mentore.
Alla svolta degli anni Novanta ricopriva un grosso ruolo operativo in un'importante azienda edile con tante opere commissionate in Milano: nel capoluogo lombardo ritrovò conoscenti immigrati dalla Riviera dei Fiori che là svolgevano compiti professionali di rilievo: due di loro scesero per partecipare al suo secondo matrimonio a Bordighera dove, invero, Silvano, rientrava ogni fine settimana e dove in gioventù aveva fatto a sufficienza il "vitellone".
Dopo di che per un bel pezzo non si mosse più dalla città delle palme, perché ormai titolare di una sua impresa di costruzioni.


Apolitico, per non dire qualunquista, era, invece, Carlo, simpatico e cordiale, Carlo che aveva ben conosciuto i "vitelloni" di Ventimiglia, ma che le sue avventure femminili se le era cercate tutte da solo.
Dopo una dozzina d'anni trascorsi nella città di confine, era tornato a Parma, dove, lavorando nella sanità, non solo conobbe almeno un altro importante - per la qualifica professionale acquisita - immigrato da questa costa, ma anche cugini di un suo vecchio sodale.
Negli ultimi tempi, ormai pensionato, amava fare lunghe conversazioni telefoniche con gli amici della zona di Ventimiglia, che talora metteva in contatto tra di loro, come per il caso della ricerca di vecchi fumetti.
Poteva chiedere notizie di un ex ragazzo di Nervia, che aveva frequentato con lui l'avviamento professionale a Ventimiglia Alta, ma poteva essere lui ad informare del prossimo arrivo per le ultime edizioni della Battaglia di Fiori di chi avrebbe aiutato con i suoi consigli alla costruzione di carri - i cui capannoni erano piazzati nell'area dell'ex deposito locomotori di Nervia - dei giovani non ancora del tutto rodati, lui che, però, dei carri di un tempo ricordava poco o nulla.
Poteva stupirsi di ritrovarsi in una vecchia immagine di quando giocava - senza mai incontrare, però Ferenc Puskás, che tra quei ragazzi talora si allenava - negli juniores della Giovane Bordighera, il cui campo casalingo, sullo storico Capo, allo stato attuale è soprattutto un parcheggio.
Rievocava escursioni gastronomiche in Val Roia e in Val Bevera con uno zio acquisito, valente e noto panettiere.
Soprattutto si sentiva ancora un ragazzo di Via Regina, come viene chiamata ancora da qualcuno Via Dante a Ventimiglia, dove aveva intessuto la maggior parte delle sue relazioni in cifra locale: non potevano allora mancare menzioni di un vecchio campetto di calcio dei dintorni o di una certa pianta di deliziose carrube.
Significativo, poi, il senso di come si tenesse in contatto con tanti ex compagni delle scuole elementari: certo tornava spesso in questo territorio, ma non mancava quasi mai di partecipare agli incontri conviviali spesso organizzati da quegli ex alunni con il loro maestro.

Stefano e Silvano forse si conobbero, ma non fu così per Silvano e Carlo: un vero peccato perché sarebbe stato interessante sentirli darsi sulla voce con le rispettive parlate vernacolari dalle tante assonanze.

Adriano Maini

mercoledì 7 maggio 2025

La giovane Adelina Pilastri collaborò con il martire antifascista Ettore Renacci


Un recente libro, Protagoniste. Storie di donne e Resistenza nel Ponente ligure (Isrecim - Regione Liguria - Fusta Editore, 2025), scritto da Daniela Cassini, Gabriella Badano e Sarah Clarke Loiacono, costituisce una mole straordinaria di emozionante documentazione.
È più che doveroso sottolineare il ruolo determinante - troppo a lungo misconosciuto - ricoperto dalle donne nella lotta di Liberazione.
È impossibile - ma non è neppure giusto - riassumere in poche righe il contenuto del menzionato lavoro.
Ed anche citare, a titolo meramente indicativo, alcuni minuti aspetti, radicati nella zona di Ventimiglia, qui di seguito riportati, non aiuta a comprendere la complessità dei temi trattati.
Brigida Rondelli, nata a Camporosso nel 1905, era sorella di altri tre partigiani, di Andreina, dunque, e dei più giovani Fulvio (Lilli) ed Eliano Vicàri. Fulvio cadde in Valle Argentina a marzo 1945: alla sua memoria venne concessa (Decreto presidenziale 11 luglio 1972 in Gazzetta Ufficiale n. 319 del 9 dicembre 1972) la medaglia d'argento. Diverse persone ricordano ancora Brigida, detta "Bigìn", iscritta al Partito comunista e abitante, qualche decennio fa, in Via Dante di Ventimiglia lato mare. 

Bordighera (IM): il Municipio

Adelina Pilastri, giovane impiegata del comune di Bordighera, poco dopo l'8 settembre 1943 portava notizie ai militari sbandati, riuniti nei pressi di Rocchetta Nervina; ebbe la possibilità di avvisare del pericolo di arresto diversi renitenti alla leva fascista, consentendo loro di cavarsela; collaborò con Ettore Renacci, uno dei 67 prigionieri politici del campo di transito di Fossoli, trucidati (tra di loro anche il ferroviere ventimigliese Giuseppe Palmero) il 12 luglio 1944 al poligono di tiro di Cibeno per una rappresaglia dalle motivazioni mai chiarite: proprio nei giorni scorsi è stata posta in Bordighera nei pressi di quella che fu la sua abitazione una pietra d'inciampo alla memoria di Renacci. Nel suo memoriale Adelina Pilastri tenne a sottolineare che Renacci, nonostante le torture subite, non fece mai il suo nome. La ragazza dovette salire poi in montagna con i partigiani, assumendo il nome di battaglia di "Sascia", con il quale aveva già dato un epico resoconto in L'epopea dell'esercito scalzo (Mario Mascia, 1946, due più recenti ristampe di Isrecim) delle traversie passate sulle nevi del Mongioie nel tentativo riuscito di salvare mezzi di sussistenza.

La zona Nervia di Ventimiglia fotografata dalla collina di Collasgarba qualche giorno dopo il bombardamento del 10 dicembre 1943 - Fonte: Silvana Maccario

Ventimiglia (IM): Villa Olga qualche anno fa

Emilia Giacometti aveva dodici anni da compiere alla fine della guerra, ma affrontò in quel periodo con i genitori traversie incredibili vissute tra Sanremo ed il confine. Figlia di Pietro [detto anche Dino], il suo diario, anche se redatto ad anni di distanza dagli eventi, ha inoltre il merito di fare piena luce sul grande contributo del padre alla lotta antifascista, al di là di quanto avesse riferito nel suo memoriale - non molto noto, invero - l'amico Giuseppe Porcheddu. Occorre subito aggiungere che Emilia, ormai stabilita in Roma, mantenne sino all'ultimo i contatti con Lina Meiffret, dalla quale, anzi, ricevette gran parte dell'archivio personale. Dalla narrazione degli anni trascorsi a Ventimiglia da Emilia Giacometti non si può fare a meno di espungere la testimonianza sui tragici bombardamenti aerei di Nervia del 10 dicembre 1943 e la conferma che l'abitazione di proprietà della famiglia fosse all'epoca Villa Olga.
Il libro Protagoniste offre anche il destro per qualche riflessione attinente la discordanza delle fonti.
Irene Anselmi di Vallecrosia, ad esempio, fornisce una versione diversa da quella ampiamente assodata del tragitto clandestino, compiuto, tra lo sbarco ed il balzo finale verso la I^ Zona Operativa Liguria, dal capitano Robert Bentley, del britannico SOE, per svolgere le mansioni di ufficiale di collegamento tra gli alleati e i partigiani dell'estremo ponente ligure. Non è secondario rimarcare che Irene Anselmi era nipote di Giuseppe Anselmi, suo zio, membro del C.L.N. di Sanremo, fucilato per rappresaglia ad Imperia il 6 novembre 1944 insieme ad Armando Denza e Luigi Novella, ma che nella sua relazione non fa nessun cenno sul suo ruolo - ancorché forse inconsapevole - avuto nell'agguato da cui conseguì il grave ferimento del comandante partigiano Stefano Carabalona (Leo).

Perinaldo (IM)

Emma Borgogno di Perinaldo collocava un altro grave ferimento, quello del partigiano Adler, come avvenuto vicino al paese, mentre, ad esempio, Angelo Mariani in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia (Isrecim, 2007), lo riferiva in connessione con l'attacco al campo di concentramento di Vallecrosia dei primi di settembre del 1944. Va da sè che quella di Emma è un'altra preziosa testimonianza, perché presenta pagine inedite sulla Resistenza a Perinaldo.

Adriano Maini