martedì 31 ottobre 2023

Un principe austriaco era proprietario di Villa Cava a Bordighera

Bordighera (IM): Villa Cava

Le cronache dei giornali e delle testate web in provincia di Imperia ogni tanto si occupano di vecchie storie di spionaggio, ambientate da queste parti di ponente di Liguria, in genere riferite agli anni della seconda guerra mondiale.
Nei giorni scorsi, la presentazione di un libro dedicato a taluni risvolti italiani dell'ultimo conflitto ha svelato la presenza a Bordighera di un agente italiano facente capo al servizio segreto francese, la cui rete nel 1942 sarebbe stata smantellata.
Ci sono opere dedicate al SIM (Servizio Segreto Militare Italiano) di quel periodo ed alla figura del suo capo di allora, Cesare Amé, che rammentano - così come almeno un memoriale di Amé stesso - una positiva azione di controspionaggio condotta in Tolone con l'ausilio della potente antenna radio di Sanremo, che era stata utile per intercettare i radiomessaggi inviati al nemico - compresi i partigiani del maquis, con i quali e con i cui "complici" non si può fare a meno di simpatizzare -, un'azione che non riuscì, tuttavia, a portare all'arresto del sottufficiale della Regia Marina che aveva "lavorato" per i francesi, dileguatosi in Riviera.
Esiste poi, presso IsrecIm, Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, una piccola memoria - rintracciata dallo storico locale Giorgio Caudano - di fine 1945, in cui un partigiano, forse una partigiana, dal nome di battaglia di Carmelita, intese indicare in Renato Brunati, che abitava prima di essere arrestato a Bordighera, martire antifascista fucilato al Turchino, un agente del Deuxième Bureau: se tale aspetto risultasse confermato - cosa quasi impossibile ormai - aggiungerebbe caso mai altro onore alla figura di Brunati, che si sarebbe trovato in ottima compagnia, come quella, ad esempio, più famosa di Adriano Olivetti, che i contatti per concretare la sua congiura antifascista li cercò, invece, con i britannici del Soe, ma per il tramite di uomini dell'Oss americano.
Risulta, invero, difficile ritrovare nei libri di storia e nei documenti più correnti tracce di spionaggio classico in Bordighera, mentre abbondano informazioni relative alla presenza di militari e agenti nazisti, in qualche caso già prima dell'8 settembre 1943.
Come avviene con taluni fascicoli statunitensi, per lo più desecretati dalla CIA intorno al 2007, anche se un po' tutti indugiano, come nel caso qui già evidenziato di Karl Weilbacher, su attività comuni, in qualche caso di criminalità minore, contrabbando, ecc.
Fioravante Martinoia di Vallecrosia a marzo 1944 venne assunto come autista dal comando SD (servizio di sicurezza delle SS) di Sanremo, dietro raccomandazione di una signora tedesca abitante a Bordighera: Martinoia, nonostante i suoi ripetuti dinieghi, proprio per via delle sue mansioni ebbe parte attiva in diverse operazioni di repressione contro i partigiani.
Il già citato Weilbacher lavorava per un'azienda di esportazione di fiori con sede a Bordighera quando nel 1940 conobbe Werner Vohringer, un collaboratore dell’Abwehr (servizio segreto militare tedesco): ebbe con quest'ultimo diversi successivi contatti di carattere non ben precisato. Già nel 1934 o nel 1935 un agente della filiale di Sanremo di una compagnia di assicurazioni aveva chiesto a Weilbacher informazioni su alcuni stranieri presenti a Sanremo e di lì a breve gli procurava un incontro con il suo "capo", incontro che avvenne in un albergo situato davanti alla stazione ferroviaria di Bordighera, allo scopo di aiutarlo (non viene svelato per quale organizzazione o corpo dello stato fascista agisse il "capo". L'OVRA? La polizia? I carabinieri? I servizi segreti?) a scoprire una organizzazione che nella città dei fiori operava per l'annessione dell'Alto Adige all'Austria. Weilbacher avrebbe dato delle informazioni su alcuni individui, ma pochi giorni dopo, senza subire noie, si defilò da un compito che non gradiva.
Un altro documento americano si dedica ai fratelli Asiani, Alberto (nato nel 1905) ed Augusto (nato nel 1906), che abitavano a Bordighera, allo stesso indirizzo del padre, Lodovico, della madre, Teresa Sassi, e della sorella, Angela, di 42 anni. Un'altra sorella, Maria, di 43 anni, risultava sposata con l'avvocato Gino Vota: entrambi residenti a Bordighera. Viene riportato anche il nome del figlio di Augusto, Cristiano, indicato come vedovo. Conobbero, tra l'altro, Weilbacher e Vohringer. A maggio o giugno 1945 vennero arrestati a Bordighera dai carabinieri perché due lettere anonime li accusavano di pregressa collaborazione con i tedeschi: tenuti in stato di fermo per 25 giorni, furono infine rilasciati perché le accuse loro mosse vennero ritenute infondate. I fratelli Asiani, sospettati di collaborazione attiva con i tedeschi a Montecarlo e in Liguria, vennero segnalati come persone già a contatto con Olga Meier in Henneman, "agente SD che causò l'incendio di Molini di Triora e la morte di diversi partigiani in provincia di Imperia". E Olga Meier aveva aiutato "in modo disinteressato" Angela Asiani a recuperare dei beni sequestrati a Bordighera alla famiglia ad aprile 1944 da agenti SS di stanza ad Imperia e riconsegnati presso la Casa dello Studente di Genova. "Verso aprile 1944, addetti delle SS di Imperia, si recarono a casa degli Asiani chiedendo dei due soggetti. Essendo questi già a Montecarlo, essi perquisirono la casa ed asportarono vino, liquori, commestibili vari, vestiti ecc. Il tutto per circa un milione e mezzo di valore. Saputo il fatto i due fratelli sono venuti a Bordighera per vedere cosa era successo e qui conobbero la suddita tedesca Henneman", così recita la parte in italiano del documento americano. Che aggiunge qualche pagina dopo: "La Henneman venne a Genova e si recò alla Casa dello Studente unitamente alla sorella. Qui esse parlarono con un ufficiale tedesco, il quale disse che era stato un sopruso e che la roba tolta sarebbe stata restituita. Dopo 15 giorni la sorella Angela, come era rimasta d'accordo, ritornò alla Casa dello Studente ed ebbe in restituzione un baule, che però non conteneva che alcuni smoking ed altre cose varie, rappresentanti una minima parte di quello che era stato asportato. La Hennemann per questo suo intervento non chiese nulla, né da allora ella ebbe altri rapporti con i fratelli Asiani". Alberto ed Augusto erano stati poi imprigionati in un campo di internamento di Nizza all'arrivo (fine agosto 1944) delle forze armate alleate in Costa Azzurra: a Bordighera erano tornati clandestinamente e ritrovarono i genitori e la sorella Angela, ma incapparono nella trafila che portò ai loro interrogatori. Ripercorrere le vicende di questi due fratelli rappresenterebbe uno spaccato non secondario di vita vissuta ai tempi di guerra, anche perché la loro permanenza a Bordighera non fu di lunga durata: i genitori erano rientrati in Italia dall'estero nel 1939, quando i due figli maschi lavoravano ancora al Casinò di Venezia, un lavoro perso con lo scoppio della guerra. Con gli Asiani vengono riportati altri nominativi di persone abitanti a Bordighera, ma senza particolari comunicazioni in proposito. Angela Asiani era nata a Bordighera nel 1903, ma all'età di dieci anni si era trasferita a Montecarlo con i genitori, che nel Principato avevano aperto un negozio di vini e liquori, dove sino al 1930 avevano collaborato anche i fratelli maschi. Nel 1939 il negozio, non rendendo più, venne chiuso e Angela con i genitori raggiunse Alberto ed Augusto a Venezia, dove lavoravano al Casinò mercé una segnalazione di un certo Spadoni che avevano conosciuto a Monaco Principato. Sempre Spadoni mise i suoi buoni uffici per evitare che a fine 1943, ormai rientrati a Bordighera, la Kommandatur inviasse i fratelli Asiani maschi in Germania per il lavoro forzato. Ci si sofferma ancora su Angela Asiani perché dalla vicenda del suo recupero parziale dei beni di famiglia sottratti (nei relativi incartamenti si afferma che non se conoscono i motivi o per lo meno così affermano alcune donne chiamate in causa) si evincono i nomi di alcune donne, appunto - ad esempio, il nome della proprietaria della villa dove stavano in affitto gli Asiani, signora Ferrari - e si apprende che una di queste per il richiamato buon fine aveva procurato ad Angela un incontro a Sanremo "con un tale Reiter", di cui ben si sa, invece, che era il responsabile del locale ufficio SD, ufficio che si occupava principalmente di repressione delle bande partigiane e dei reati di natura politica e di repressione del mercato nero.
Ernest Schifferegger, già italiano altoatesino, il quale in occasione del referendum del 1939 aveva optato, come tutti i membri della sua numerosa famiglia, per la nazionalità tedesca, poi SS (già presente a Roma e partecipe della strage delle Fosse Ardeatine), interprete, segnalava che un certo Boccabella di Bordighera era diventato collaboratore delle SS di Imperia e di Sanremo dopo essere stato incarcerato per rapina a mano armata. Boccabella accompagnò Reiter ed una sua squadra a Bordighera a cercare benzina nascosta in un garage e ad indagare su liquori detenuti da un privato, infine ritenuti, tuttavia, di legittima proprietà. Si procedette, invece, al sequestro di un deposito di carburante celato a Seborga, paese dell'immediato entroterra di Bordighera.
Alcune carte rinvenute da Paolo Bianchi di Sanremo presso l'Archivio di Stato di Genova, attinenti processi presso le CAS, Corti d'Assise Straordinarie del dopoguerra, deputate all'epurazione del fascismo, aggiungono tasselli a questo  mosaico.
 
Bordighera (IM): la collina Mostaccini sovrasta la zona di Via Coggiola

Il conte Pietro Di Masio Civalieri Inviziati, nato nel 1872, sposato dal 1936 con Sibilla Von Armin "di origine tedesca" in un interrogatorio di polizia del 23 giugno 1945 risulta residente in Bordighera presso l'Albergo Belvedere. Dalle sue dichiarazioni messe a verbale si apprendono diverse notizie, alcune curiose: che dalla data del matrimonio sino all'ottobre 1944 aveva abitato - in affitto - in Villa dei Pini in Via dei Mostaccini a Bordighera; che, sempre a Bordighera, aveva rifiutato di ricoprire cariche politiche; che non aveva mai ricevuto in casa sua un ufficiale della Polizia tedesca, ma solo un ufficiale dell'esercito che intendeva omaggiare sua moglie, appartenente ad una famiglia nobile; che era stato amico del principe austriaco Schwatgenhagg, proprietario di Villa La Cava a Bordighera, arrestato ad ottobre 1943, portato a Genova dalle SS, ma di cui - sempre per notizie avute da una cugina del principe, la principessa russa Galitzin - poteva affermare che era poi stato lasciato libero a Vienna (questo fatto venne confermato anche dall'avvocato Amalberti di Ventimiglia - di Vallecrosia, secondo Von Armin -); che il 10 ottobre 1944 due soldati tedeschi lo arrestarono e lo portarono al comando di Villa Rosa, da cui venne prelevato per essere tenuto in ostaggio per quattro giorni presso l'Albergo Excelsior, sempre a Bordighera. La moglie del conte, Sibilla Von Armin, interrogata il 25 giugno 1945 presso il campo di concentramento di Sanremo, rivelava il nome del capitano dell'esercito tedesco che fu talora ospite della famiglia, Behr, da lei conosciuto gà vent'anni prima, e adombrava come causa dell'arresto del principe austriaco il fatto che egli fosse nipote di una persona a suo tempo implicata nelle vicende del cancelliere austriaco Dollfuss. Senonché, nella sua denuncia del 30 giugno 1945 Bernardo Biancheri, padre dei partigiani Bartolomeo ed Ettore, fucilati a Forte San Paolo di Ventimiglia, segnalava i coniugi Civalieri tra i delatori che avevano portato la morte ai suoi figli, in quanto "ai tedeschi dei quali sia lui che la moglie erano quasi sempre a contatto... ai tedeschi, al soldo dei quali doveva sicuramente agire sia lui, uomo capace di tutto e senza scrupoli, che la moglie, originaria tedesca... i tedeschi dovevano essere stati informati dal Civalieri stesso, il quale se non ha potuto avere le informazioni che all'uopo richiedeva al Lorenzi, per non essersi questo prestato, indubbiamente deve averle attinte da altre persone portando così a termine il suo compito di spia". A maggio 1946, per il processo davanti alla Cas, l'avvocato Nino Bobba di Sanremo citava come testimoni a discarico dei coniugi Civalieri quattro persone. Il dottor Gianni Cristel di Sanremo, che aveva conosciuto il maggiore Beer (Behr nel verbale della Von Armin) quale perseguitato politico. Otto Geibel (console tedesco di Sanremo sin da prima della Grande Guerra, che aveva aiutato diversi ebrei a sfuggire alle persecuzioni) che avrebbe potuto sostenere che il principe austriaco (il cui cognome in questa circostanza viene trascritto come Schwarzenberg) era stato lungamente controllato dai nazisti presenti in Riviera. Liesel Richer, abitante a Villa Luisa a Bordighera che avrebbe potuto spiegare i veri motivi per cui alla Von Armin erano stati rilasciati diversi permessi di viaggio. La Baronessa Flugge di Villa Oliveto in Via Romana a Bordighera che "sa che l'imputata e il di lei marito rimasero costernati alla notizia dell'arresto del Principe; insieme studiarono e fecero tutto il possibile per venirgli in aiuto".
Elda Casaroli, residente a Bordighera, venne ritenuta responsabile di collaborazione con i tedeschi "avendo provocato la cattura di due patriotti che poi vennero fucilati e di Buccella Orlando, guardia di finanza, che aveva disertato": negò di avere contribuito alla cattura dei fratelli Biancheri, ma venne condannata il 7 settembre 1945 a otto anni e quattro mesi di reclusione e alla confisca dei beni, una pena che si può presumere - come quasi tutte quelle similari - successivamente in appello ampiamente ridotta. Risulta istruttivo leggere ancora nella motivazione della sentenza che "lo spionaggio praticato in favore del nemico ostacolò i movimenti di liberazione... Chi si accinge a tali imprese a danno della Patria è spesso il delinquente senza fede e senza scrupoli... donna dedita ai facili amori, come può dirsi dell'imputata... invitata ad assistere al passaggio delle persone rastrellate, essa assiste fumando vicino al cap. Borro... fa segni di assenso o dissenso per l'arresto che doveva essere compiuto...".
Azioni vere di spionaggio in zona vennero compiute dai partigiani delle SAP, dei SIM di brigata e di divisione, del CLN di Bordighera, ma queste assumono un rilievo del tutto particolare, a sé stante.
Adriano Maini

martedì 10 ottobre 2023

Santiago, Riccardo, Pier delle Vigne e Leone

San Giovanni, Frazione di Sanremo (IM): campagne abbandonate

Si presta a qualche considerazione di carattere locale la recensione di Marco Belpoliti a "Lettere a Chichita (1962-1963)" a cura di Giovanna Calvino, volume dato in uscita presso Mondadori e recensione apparsa sabato 7 ottobre scorso su "la Repubblica" con il titolo «Italo Calvino: “Perché credo negli angeli”» - e sommario «In un suo manoscritto il grande autore svela gli incontri con alcune figure che hanno avuto su di lui un’influenza benefica o salvifica. E su Robinson l’intervista alla figlia e un racconto in esclusiva» -. Dalla scheda di presentazione del citato libro, come già pubblicata, invece, dalla casa editrice milanese sul Web, si possono estrapolare queste parole: "Il primo appuntamento con Chichita, a Parigi nell'aprile 1962, è uno dei momenti che Calvino identificava come cruciali nella propria parabola esistenziale, insieme alla partecipazione alla Resistenza e all'ingresso nella casa editrice Einaudi [...] Ritrovate dalla figlia Giovanna, quelle missive del 1962-1963 sono qui pubblicate per la prima volta assieme a un testo inedito coevo, 'Sulla natura degli angeli', e a una delle risposte di Chichita. Se ne ricava l'affresco di una quotidianità ricca e sfaccettata: oltre alle immancabili incomprensioni della comunicazione a distanza, l'attesa degli incontri con la donna amata, le complicazioni logistiche degli spostamenti (Sanremo-Torino-Roma-Parigi), le luci e le ombre del lavoro editoriale, l'irresistibile richiamo della vocazione letteraria".
Il giornalista concentra la sua attenzione sul manoscritto, di cui riporta anche la data, primo ottobre 1963.
Da Belpoliti vengono citati tre ex partigiani di Sanremo,  ricordati con particolare intensità ("«in sodalizio fraterno» legato a «un'allegria che mai nessuna compagnia d'amici mi ridarà così piena»") da Italo Calvino nel predetto documento, Adriano S., Pier delle Vigne (Pietro Sughi) e Jaurès Sughi (Leone), "altri angeli dei suoi [dello scrittore] inizi: i compagni della Resistenza, quelli che l'hanno introdotto nella lotta partigiana [...] ex-boxeur, futuro gangster [il primo] [...] avanzo della legione Straniera [il secondo], l'altro avanzo di galera [il terzo]". Probabilmente si tratta del primo documento in cui Calvino abbia scritto di questi suoi vecchi sodali. Oltrettutto, Calvino, uso del resto a scrivere in terza persona, nei suoi lavori celava sotto nomi di fantasia personaggi reali.
Adriano S. è da identificare con Adriano (Riccardo) Siffredi, non fosse altro per il fatto che si riporta la notizia della sua morte come avvenuta a Dien Bien Phu, come noto luogo della sconfitta subita nel 1954 dall'esercito francese contro i Việt Minh guidati dal generale Giap, sconfitta che portò alla fine di quella guerra, con i conseguenti accordi di pace di Ginevra, i quali sancirono l'indipendenza - anche se poi la storia vide altri tragici eventi, come la guerra in Vietnam che coinvolse gli Stati Uniti - dell'Indocina. Questa deduzione attinente la figura di Siffredi può essere fatta alla luce di una tradizione orale che, in quanto tale, si lascia in queste righe in un alone di indeterminatezza. Sarà sufficiente aggiungere qualche frase desunta da un articolo, senza titolo, se non quello della rubrica, "Corriere di Sanremo", della "Cronaca di Imperia" de "Il Lavoro Nuovo" (all'epoca quotidiano, con sede a Genova, del Partito Socialista) di domenica 2 ottobre 1955, in una copia conservata da Giorgio Loreti, infaticabile animatore delle iniziative dell'Unione Culturale di Bordighera: "E' tornato dopo la lunga assenza, attraverso diecimila miglia di quel mare che amò con passione quasi morbosa, è tornato ai fiori e agli olivi della sua terra cui donò nei giorni dell'ira e del riscatto l'indomito ardore della giovinezza Adriano Siffredi, il «Riccardo» della nostra lotta [...] Non altrimenti vogliamo ricordarlo questo ventenne comandante partigiano, terrore ai nemici, esempio ai compagni, sprone agli ignavi: tutto il resto si spegne dinanzi alla luce che promana dalla sue gesta: Bignone, San Romolo, Borello, Via Privata, Piazza Colombo, Villa Impero... ovunque vi era un'azione da compiere, un amico da salvare, un nemico da snidare Adriano Siffredi ed i ragazzi-eroi della Matteotti furono sul posto, senza nulla chiedere se non di marciare alla testa dell'Esercito di Liberazione [...]". Il padre, Adolfo Siffredi, patriota antifascista (Fifo), fu il primo sindaco di Sanremo alla Liberazione. La figlia, Eleonora Siffredi, è una valente artista. Riferimenti ad Adriano Siffredi, poi, risultano in modo confuso in dichiarazioni contorte ed evasive contenute nel Diario (brogliaccio) del distaccamento di Sanremo della Brigata Nera "A. Padoan", documento di cui si dirà meglio dopo.
 

Una pagina del brogliaccio della Brigata Nera di Sanremo in cui appare più volte il nome di Adriano Siffredi

A differenza di Adriano Siffredi, che non viene mai evidenziato nelle recensioni critiche - quantomeno quelle più note - dei lavori di Italo Calvino (il cui nome di battaglia da partigiano era "Santiago"), sui fratelli Sughi esiste una discreta letteratura, dalla quale si può attingere qualche citazione. Premesso che anche Pier delle Vigne e Leone furono valorosi partigiani, si può rammentare - andando in ordine sparso - che Calvino e Jaures Sughi militarono insieme nell'estate del 1944 nella SAP "Matteotti" di Sanremo; che Pietro Sughi aveva raccontato a Pietro Ferrua (che lo riferisce nel suo "Italo Calvino a Sanremo", Famija Sanremasca, 1991) della grotta nella campagna di San Giovanni, Frazione di Sanremo, attrezzata dal padre Mario Calvino, dove in talune circostanze si nascosero Italo, il fratello Floriano - anch'egli partigiano - ed altri patrioti; che quando, nel corso del rastrellamento del 15 novembre 1944, che investì anche San Giovanni, Italo venne catturato - e si salvò dalla fucilazione perché potè esibire un surrettizio foglio di licenza - insieme a lui cadde prigioniero Jaures Sughi, destinato a salvarsi per altre vie, mentre Pietro Sughi e Floriano Calvino erano riusciti a fuggire prima dell'accerchiamento; che sempre Pietro Sughi, "Pier delle Vigne", spiegò a Pietro Ferrua il retroscena reale dell'episodio dell'incendio nel casone riportato ne "Il sentiero dei nidi di ragno": «Cosa era successo in realtà? I partigiani erano pieni di pidocchi e spidocchiandosi sulla fiamma ad uno prese fuoco la camicia, che appiccicò fuoco al canniccio sul quale c’erano delle munizioni». Si aggiunga che "Pier delle Vigne" Sughi era attivamente ricercato dalle Brigate Nere di Sanremo; alcune note del brogliaccio di questa milizia fascista, lette a distanza di tempo, assumono il tono del picaresco, se non del grottesco, specie quella del 1 febbraio 1945 (il che lascia intendere che dalle parti di San Giovanni i partigiani erano ben tornati):"... informa che la concubina di Pier de la Vigna (Sughi Pietro) parte sempre alle ore 9 e 1/4 antim. e ritorna alla sera alle 19 circa (o alle 18 3/4) per andare da Pier de la Vigna (suo concubino) a portargli da mangiare. Fa il seguente itinerario [...] Di lì va alla Madonna del Borgo. Prende la mulattiera. Va al golf e di lì a S. Giovanni. Ci dev'essere un casolare di campagna, isolato, vecchio, dove non abita nessuno, a destra della strada mulattiera, una mezz'oretta - o venti minuti - dopo la Chiesa di S. Giovanni. Sotto c'è la stalla e sopra ci sono due camere [...] Pier de la Vigna e la concubina stanno insieme e mangiano insieme. Generalmente vi sono altri due ribelli [...]". 

Lo schizzo della zona di San Giovanni a Sanremo fatto da un brigatista nero

La copia del documento di identità di Pietro Sughi nel brogliaccio della Brigata Nera di Sanremo

La pagina in questione riporta anche uno schizzo della zona; la stesura del brogliaccio viene interrotta pochi giorni dopo, per lo meno nella copia in dotazione a Paolo Bianchi di Sanremo, da cui qui si attinge; a gennaio 1945 in questo diario viene, altresì, allegata la carta d'identità di Pietro Sughi o una sua riproduzione.

Adriano Maini