venerdì 27 dicembre 2019

Girovagando

Buggio, Frazione di Pigna (IM): al centro il Mulino "Basciàn"
 
Recandomi non molti anni fa - ancora per lavoro - a Cipressa (IM), ritrovai un caro sodale di gioventù, perso di vista da sin troppo tempo. Nell'occasione mi fece fatto dono di due superbi opuscoli di storia locale, di cui uno dedicato alla Frazione Lingueglietta.

Risulta quasi inevitabile che negli spostamenti per motivi professionali si possano fare simpatici incontri.
Questo capita, tuttavia, o capita a me, anche semplicemente girovagando. Come in questi ultimi anni da pensionato.

Immancabilmente a Buggio, Frazione di Pigna (IM), Alta Val Nervia, quando sono in procinto di tornare a casa, incrocio I., che per l'ennesima volta mi invita a passare la prossima volta a trovarlo, non fosse altro che per prendere un caffé insieme. Puntualmente me ne dimentico.

In località Cian de Ca' di Camporosso (IM), una persona incontrata lì per lì, dopo gli scambi di informazioni sulle reciproche relazioni sociali, mi si metteva a disposizione per farmi da guida "turistica" del posto per una prossima occasione, che io non ho tuttora colto.

In località Massabò di Perinaldo (IM) abita una persona che ha conosciuto mio zio materno. La stessa cosa mi diceva un gentile, ma indaffarato signore, impegnato nel suo giardino in collina a Vallebona (IM). Ed un altro, dimorante in una traversa di Via dei Colli di Bordighera (IM), il quale mi aggiungeva per soprammercato di conservare un ottimo ricordo anche del nonno, deceduto ormai da decenni.

Ero fermo a fotografare su di una sorta di balconata sull'Alta Val Verbone, forse ancora in territorio di Soldano, forse già in quello di Perinaldo. Sopraggiungeva in auto F., un po' preavvertito che forse mi avrebbe potuto trovare da I., che avevo visto poco prima, più in basso, e dal quale mi ero fatto raccontare alquante memorie di famiglia, di cui almeno due componenti erano stati cari colleghi di mio padre. F. si raccomandava, salutandomi, che non scendessi, dato lo stato della carrareccia, per Dolceacqua (IM). Cosa che, invece, per sbaglio, poi ho fatto. Scoprendo nuove, per me, zone. Ne ho fatto derivare un tormentone a danno di diversi amici, compreso il primo, ogni volta che l'ho rivisto, per conoscere i nomi più precisi di quelle località.

Da tempo, invece, non incontro più sull'Aurelia o a Vallecrosia o a Bordighera il simpatico Aldo di Imperia, forse ormai in pensione, ma lui merita un trafiletto a parte...
 
 
Adriano Maini

domenica 15 dicembre 2019

Il professore

Villa Ortensia a Bordighera (IM), dimora del professore Monti
 
Raffaello Monti (Milano, 23 dicembre 1893; Bordighera, 15 maggio 1975). "Monti fu musicista di professione, specializzato nel violoncello, e compositore. Ebbe modo di studiare musica e perfezionare la sua arte in più Istituti e Città (Torino, Tolosa, Nizza) raggiungendo notevoli traguardi e incarichi di prestigio, tra cui quello di primo violoncellista al Teatro Regio di Torino e solista all’EIAR. La sua carriera precoce, iniziata ad appena 16 anni, continuò fino all’anno della sua morte nel 1975 con la composizione e orchestrazione di molte opere". Valentina Donati

E Raffaello Monti negli ultimi anni di vita dimorò in Bordighera (IM) a Villa Ortensia. Fu promotore, soprattutto in qualità di Presidente della locale Unione Culturale Democratica, di diverse iniziative culturali e sociali, quali la Conferenza su Mussorgosky del 1961, la relazione, con Aldo Capitini, al Convegno sull'Obiezione di Coscienza del 1962, per il quale pervenne una lettera di adesione di Bertrand Russel -, la relazione alla Conferenza La contaminazione atomica a Ventimiglia (IM) nel 1964, la relazione alla Conferenza La questione d'Israele nel 1967. Molte di queste ultime informazioni le ho desunte - o le viste confermate - in Archivio Unione Culturale Democratica [di Bordighera (IM)], di Giorgio Loreti, marzo 2017.

Ho avuto da bambino una fugace conoscenza del professore Raffaello Monti. Anzi, forse a lungo non seppi o avevo dimenticato quel cognome. Infatti, per la nonna materna egli era semplicemente il professore. Un casuale riferimento a quell'uomo, percepito da adulto in altrui conversazione, mi aveva fortemente incuriosito, ma il caso volle che sino a pochi anni fa io non sia stato in grado di chiarire alcunché. Lungo il percorso di maturazione di questa mia personale conoscenza mi sono anche imbattuto in episodi quantomeno di simpatico risvolto della vita di relazione, su cui talvolta ho scritto, ma che in questa occasione non ripeto per lasciare in luce il rilievo della figura del professore. Aggiungo solo la sottolineatura di due aspetti, mutuati dalle mie pregresse ricerche, della vita di Raffaello Monti, la collocazione antifascista al tempo del regime, che lo spinse ad andare in Spagna dalla parte della Repubblica al tempo della guerra civile del 1936-1939, e l'impegno come "partigiano della pace" in Italia nei primi anni '50 del secolo scorso.
 
Adriano Maini

sabato 7 dicembre 2019

C'era la guerra


Settantasette anni fa i marinai, tra cui mio padre, proveniente da Ventimiglia (IM) - a maggio 1942 ormai in semplice esercitazione - della corazzata "Giulio Cesare", già ammiraglia della flotta italiana, la prima battaglia della Sirte l'avevano già combattuta. 

Settantanove anni fa in questa zona di estremo ponente ligure in frontiera con la Francia i civili sfollati erano già rientrati nelle lore case.

Credo sia giusto rammentare in chiave umanitaria i drammatici accadimenti della storia, ancorché visti in ambito locale, purtroppo inesauribile fonte di fatti. 


Dal Fronte dei Balcani - cui afferisce questo scatto che rappresenta un carabiniere richiamato da Bordighera (IM), mio nonno materno - in tanti, troppi tornarono minati profondamente dalla malaria. E non solo nella mente, per tutti gli orrori commessi in quei luoghi dalle orde nazifasciste.



Nel frattempo accadeva la tragedia della spedizione in Russia in cui non perirono solo ragazzi di queste nostre località fanti dell'89° reggimento, come giustamente viene ricordato anche di recente con pubblicazioni e convegni. Altri giovani ancora, come l'alpino della sovrastante fotografia, partito pure lui da Ventimiglia.


Come il milite del Genio Ferrovieri di questa immagine, mio zio paterno.


Gli auguri di Natale del maggiore del Battaglione dello zio sono arrivati ai miei quando lo zio era già disperso, come da motivazione ufficiale della sua scomparsa, datata per il Ministero della Difesa al 18 dicembre 1942: su quella cartolina si può notare, invero, un timbro postale, presumo d'arrivo, risalente al 19 dicembre 1942.  
Solo da poco ho pensato di fare ricerche sul Web. 
Ho trovato la motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare concessa alla Bandiera del Reggimento del Genio Ferrovieri, proprio per il X° Battaglione Genio Ferrovieri, quello dello zio: "Nella campagna al fronte orientale (Russia) ha assicurato, col suo fattivo lavoro, i rifornimenti alle truppe combattenti, riattivando e costruendo numerosi tronchi ferroviari. Posto a difesa, durante la battaglia del Don, di un’importante postazione, ricacciava varie volte il nemico malgrado la sua forte superiorità di uomini e mezzi. In epica gara coi fanti ha combattuto per oltre tre giorni, offrendo una strenua resistenza finchè, decimato negli uomini, per evitare il completo accerchiamento ripiegava su linee arretrate". Zona di Krassnogorowka, dicembre 1942. Decorazione concessa il 21 Maggio 1948.

Nell'affondamento della corazzata Roma del 9 settembre 1943 morì il marinaio di Ventimiglia cui è dedicata la sezione locale dell'Associazione, amico di famiglia dei miei, caro soprattutto a mio padre.

Gli effetti del bombardamento aereo del 10 dicembre 1943 su Nervia di Ventimiglia (IM). Fonte: archivio personale di S. M.
 
Un capitolo a parte sarebbe da dedicare ai bombardamenti, aerei, navali e terrestri, che colpirono la popolazione civile, soprattutto le stragi del 10 dicembre 1943 causate in località Nervia e Gianchette di Ventimiglia (IM). Sovente ripenso a quante persone ho conosciuto che avevano perso dei loro cari in quei drammatici frangenti.

In tanti sottolineano tuttora la Notte dei Bengala del 21 giugno 1944, quando si sperò inutilmente nell'imminente arrivo o sbarco in zona degli Alleati.

Lo speravano soprattutto i partigiani, anche i partigiani del mare, uomini che si apprestavano a tenere contatti rischiosi tra gli alleati e i patrioti combattenti in montagna: in ideale collegamento di valori con quei pescatori ed altri generosi che proprio in questa zona avevano aiutato tra il 1938 e il 1939 ebrei stranieri in fuga verso la Francia perché cacciati con le famigerate leggi razziali del 1938 dal regime fascista.

Si tratta solo di piccoli, anche casuali, di sicuro molto parziali esempi, inerenti la realtà locale in cui ho sempre vissuto, senza alcuna pretesa di scrivere o riscrivere la storia, per non dimenticare!
 
Adriano Maini


mercoledì 27 novembre 2019

Quando leggevo l'"intrepido"


Riscontro di continuo che i fumetti, in particolare l'"intrepido", che leggevo con un po' di fortuna - come cercherò di spiegare più avanti - dalla metà circa degli anni 1950 in avanti, sino a quando sono uscito dall'adolescenza, piacevano a quel tempo a tanti amici e a tanti conoscenti.

Si conosceva meno, perché, come mi ripetono in tanti, era più caro degli altri, "Tex", il quale in quel periodo usciva ancora in formato piccolo.


I personaggi dell'"intrepido" che ricordo bene erano Buffalo Bill, a lungo il mio preferito, Roland Eagle (un giovane capitano di un veliero, anche a motore, che incappa in tante avventure nei Mari del Sud, ma in epoca contemporanea), Liberty Kid, altro eroe statunitense dell'Ottocento, il principe indiano Chiomadoro, che combatte anche contro i giapponesi nel secondo conflitto globale, ed un altro principe esotico che subito non mi piaceva molto. Comparivano tutti in storie a puntate de l"intrepido".



Esiste una discreta trama di valutazioni storico-critiche su l"intrepido", fondato nel 1930, pertanto in era fascista, quando ben presto  i fumetti d'importazione americana dovettero in fretta e furia italianizzare nomi e trame. Come per i celebri Cino e Franco (della Casa Nerbini). Alla faccia del copyright. E dello spessore delle storie. Con questo, però, sono entrato in un altro campo, affascinante, sì, ma su cui esistono molte pubblicazioni.


Cugini de l"intrepido" nella stessa Casa Editrice Universo nel periodo cui faccio riferimento io erano "Il Monello", edito sino al 1990, e "Albo dell'Intrepido", uscito, se non erro, abbastanza presto di scena. Mi interessa come aspetto singolare l'ultimo appena citato, specializzato in storie complete, in genere di guerra, ad uscita settimanale. E fu così che a metà anni '50 molti ragazzini e bambini italiani vennero a conoscere storie di soldati giapponesi nelle giungle, che non sapevano che il conflitto era già finito! De "Il Monello" vorrei solo ricordare il cowboy Rocky Ryder. Su tutti e tre comparivano, inoltre, di solito nella quarta di copertina brevi strip comiche, anche importanti, quali "Pedrito El Drito", di cui sono riuscito a reperire qualche anno fa una piccola ristampa, "La piccola Zoe", "Tarzanetto": non ricordo, però, in quale ordine.

L"intrepido" mi entrò in casa in modo casuale e sporadico. Al pari di Topolino, che è tutt'altra vicenda. Ebbi la possibilità di vederne (data l'età), prima, e, presto, di leggerne tanti. Non ricordo se richiesi in famiglia di poter leggere con costanza una copia settimanale tutta mia. Probabilmente sì, con esito negativo per le supreme ragioni educative di dover leggere "Il Corriere dei Piccoli", periodico che rammento con molto piacere e molto importante; ma i bambini, si sa, sono esigenti. E fu così che di molte storie (de l"intrepido"), le quali erano a puntate, o non ho visto le conclusioni o mi sono perso gran parte delle trame. Perché le mie letture dei fumetti erano soprattutto affidate ai prestiti di tanti compagni di giochi, specie di quelli che incontravo quando mi recavo dalla nonna materna a Bordighera (IM).



Erano già gli anni de "Il grande Blek" e di "Capitan Miki", tuttora "vivi e vegeti" - o almeno mi sembra di averli visti in edicola sino a qualche anno fa -, ma che adesso trovo di una ingenuità colossale. All'epoca furono importanti anche loro. Al pari di altri. Tutti scomparsi. Come Pecos Bill.


"Il Piccolo Sceriffo". O Kinowa. Sempre parlando di western. Forse il grande cinema americano di genere ispirava al meglio i loro autori. Come fu per Tex. Per il quale il debito d'origine verso i film di John Ford viene riconosciuto. Che a metà anni '50 conoscevamo. Ed apprezzavamo. Ma che costava, come ho già anticipato poco sopra, più caro degli altri. Anche nella versione originaria a strisce. Come aveva riconosciuto anche il compianto Sergio Bonelli, figlio e continuatore di chi aveva creato il personaggio. Per cui Tex non veniva letto molto. E poi i fumetti comici, che forse risentivano di tanto cinema italiano, Cucciolo, Tiramolla. Qualche tempo fa ancora presenti. Ed altri di derivazione, credo, americana, come Picchiarello.

In tanti, insomma, ci siamo cresciuti con quei fumetti. E non ce pentiamo affatto. Io, poi, che prediligevo quel Buffalo Bill, che nella memoria rivedo oggi reazionario come nella realtà storica, tenevo d'istinto per gli indiani anche nei giochi dell'infanzia. Crediamo di essere cresciuti bene. Solo che non è rimasta quasi traccia di alcuni di quei fumetti. Tante volte passando in Via Washington a Milano, dove, in uno slargo, ha - o vaeva, perché parlo di tanti anni fa, ormai - sede la Casa Universo, ho avuto la tentazione di tentazione di andare a vedere un po', ma mi ha trattenuto il pudore dell'adulto. C'è poco anche in termini di antiquariato, se ricordo bene. Che comunque dovrebbe avere un costo non indifferente. Agli albori dei Comics a Lucca, mi sembra di ricordare, un insigne collezionista mi disse che erano altri i fumetti ricercati. E ci credo. Quelli anteguerra. E quelli subito dopo la guerra. Comunque. Si ristampa di tutto, a prezzo più o meno accessibile, in Italia. Ma quei fumetti, no. Forse ci hanno provato circa trent'anni fa: trovai, infatti, una copia in reprint come inserto di un'altra pubblicazione. Poi, basta. A me per lungo tempo - avendo subito sui miei vent'anni in un trasloco, che mi vide assente, la perdita dei fumetti che a campione ero riuscito a conservare - sarebbe stato sufficiente rivederne qualche copia per capire meglio cosa mi entusiasmasse. Per mia fortuna, infine, grazie all'amico Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM) ci sono riuscito: trovo, invero, confermate in larga misura tutte le impressioni che sin qui ho dichiarato. 
 
Adriano Maini

martedì 19 novembre 2019

Un modesto excursus

Latte, Frazione di Ventimiglia (IM)
 
Sussiste un'immediata profondità del nostro mare, qui, nell'estremo ponente di Liguria, la stessa che, come mi spiegò una volta un amico di famiglia, nel mentre si faceva tornare alla memoria i viaggi sotto costa  (negli anni '30 del secolo scorso) del piroscafo Rex, dovrebbe generare il fenomeno delle improvvise ed impreviste ondate che talora sconquassano litorale e passeggiata.

Subito mi venne in mente che, nel pur breve tratto che va da Capo Ampelio di Bordighera (IM) a Cap Martin già in Costa Azzurra, tale caratteristica trova significative eccezioni, rappresentate da inconsueti, di solito rocciosi, rialzi del fondale, al massimo a pelo d'acqua, teatri a volte per i conoscitori degli arcani di cospicue pescate di luassi (i branzini, in madre lingua) e di altre pregiate specie, e muti testimoni di relitti misteriosi ed antichi, spesso piratescamente trafugati: echi di storie, anche un po' leggendarie, che nel mio ricordo si uniscono ad altre storie, talora approdate a dignità letterarie, storie sentite in pregresse situazioni, di cui alcuni affabulatori e testimoni non sono più.

Senonché, alcuni di questi ultimi personaggi, insieme ad episodi dell'ultimo conflitto mondiale, che rimandano comunque al mare, quali la galleria dell'Arziglia (sempre in Bordighera) ad est trasformata in rifugio antiaereo e la morte della madre dell'autore per via di mitragliamento, da parte di un velivolo alleato, di innocenti civili (ignominia della guerra) sulla spiaggia di Latte a ponente di Ventimiglia, tornano insieme ad altri in un'opera dell'amico Carlo, che definire di personali memorie del periodo bellico e post-bellico sarebbe riduttivo: per chi é nato e cresciuto da queste parti si tratta di un incisivo contributo alla verifica quantomeno delle proprie radici civili e sociali.

Carlo è la persona che mi venne a cercare quel 12 dicembre 1969 per farmi unire a quel vigile moto di dignitosa e combattiva protesta che si stava levando nel Paese per difendere la democrazia repubblicana dai pericoli insiti nel vile attentato terrostico di quel giorno alla Banca dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano.
 
Adriano Maini


domenica 3 novembre 2019

Sostiene Gianfranco


Sostiene Gianfranco, l'amico di una vita Gianfranco Raimondo, che il “ciaraban du Pescio”, una specie di diligenza tipo Far West, trainata da cavalli, faceva servizio poco prima del secondo conflitto mondiale da Ventimiglia (IM) a Camporosso. Compiere in quel torno di tempo quel viaggio su quel mezzo era per la sua fantasia qualcosa in oggi paragonabile ad un'avventura di Indiana Jones. E sembra memoria prodigiosa quella di Gianfranco perché allora era proprio ben piccolo di età!

Sostiene Gianfranco che quella vicenda, riguardante persone di Ventimiglia (IM) e zona, approdata addirittura sulla copertina de  "La Domenica del Corriere", edizione - si noterà - del 27 aprile 1958, non andò come riportato da quel settimanale, ormai scomparso, ma un tempo molto noto. La didascalia apposta alla tavola del famoso Walter Molino di due giovanotti che da Ventimiglia si sarebbero avventurati - chi per donare a Soraya un proprio quadro, chi una propria poesia - in barca per incrociare al largo un transatlantico, dove era imbarcata, per l'appunto, la principessa triste, come dicevano i rotocalchi, perché ripudiata dallo Scià di Persia: senza riuscirci, causa ondate, anzi, costretti a tornare verso la riva a nuoto. 

Gianfranco sostiene, invece, nell'ordine: che era nella "cabina di regia" dove nacque l'ipotesi dell'avventura; che il merito principale fu di un giornalista di Ventimiglia, decano, finché rimase in vita, dei cronisti accreditati al Festival Cinematografico di Cannes, Angelo Maccario; che il pittore era Mario Raimondo, più noto come Barbadirame, valente artista e uomo di straordinaria simpatia, che ho avuto la fortuna di conoscere; che il poeta era Giorgio Carbone, il futuro Principe di... Seborga (una rivendicazione per il ridente villaggio alle spalle di Bordighera, che persiste tuttora, creando, comunque, notorietà e flussi turistici); che, redatto dagli allegri compagnoni un comunicato-stampa, questo, rilanciato dall'ANSA, fece passare per vero - non essendo (già allora!) mai state compiute verifiche di sorta - un episodio mai avvenuto su diversi giornali, compresi alcuni francesi.... 

Aggiunge Gianfranco che a Ventimiglia in un certo dancing negli anni 1950 era d'obbligo entrare eleganti e che un giovanotto ventimigliese, già cliente abituale del menzionato locale, ebbe l'onore di ballare con Kim Novak, forse a "Il Pirata" di Roquebrune Cap-Martin: puntuale, compare sul noto social media la fotografia che attesta l'episodio.

Sostiene Gianfranco che scene di vita mondana nella vicina Costa Azzurra con partecipazione "straordinaria" di cittadini della già citata zona del ponente ligure erano frequenti ancora per tutti gli anni '60... 

Racconta ancora di tante cose e di tanti personaggi, Gianfranco, anche di come, prima di venire ad abitare a Nervia di Ventimiglia, dove ci siamo conosciuti, aveva visto e vissuto Via Regina...




lunedì 28 ottobre 2019

Peglia e dintorni...


Località  Peglia di Ventimiglia (IM), a nord del ponte della ferrovia per la Francia.
C'era un po' più in su una pista di go-kart con annesso pubblico servizio: un'area molto frequentata ed oggi molto rievocata in tante memorie. Con base di partenza e di arrivo da quel sito e con deviazione su sentieri sull'addomesticato greto o solo su quel cemento - si tenne almeno in un'occasione (anno di grazia 1966) una sorta di pre-selezione (sub-provinciale) dei campionati studenteschi di corsa campestre.
A valle della strada ferrata l'area forse ha un altro nome, ma un tempo aveva una maggiore interconnessione con la precedente: c'erano anche anche delle piccole peschiere; il vecchio mattatoio; un po' a ponente, a fianco della strada che attualmente concede solo un minimo accesso a Peglia, ai suoi vecchi mulini, alla Bocciofila del Dopolavoro Ferroviario, c'era una fabbrica di liquirizia, un edificio purtroppo devastatato dallo scoppio di una caldaia agli inizi degli anni '70, con la conseguenza di gravi danni alle persone, soprattutto con la morte di una giovane ragazza che frequentava il Bar Irene, vero centro sociale e culturale dell'epoca nella città di confine. Ed ancora un camping sempre molto affollato d'estate...




Sino a tutti gli anni Sessanta alcuni carri della Battaglia di Fiori, una volta finita la manifestazione, venivano portati, o riportati, davanti al mattatoio.


La via principale per Peglia, che passava per un varco del ponte della ferrovia, è stata resa intransitabile in quel proseguimento per motivi di sicurezza rispetto alle piene del limitrofo fiume Roia.
 




Per arrivare all'altra Bocciofila (quella storica ed affiliata al CONI), ai campi da tennis, ai rettangoli verdi del calcio occorre adesso sottoporsi ad un lungo giro.
Il campo di calcio di Peglia forse venne realizzato man mano che veniva dismesso quello vecchio in Piazza d'Armi a Camporosso (IM), ancora utilizzato nel 1964.

Adriano Maini


venerdì 18 ottobre 2019

Via Due Camini


Certe mie emozioni acquisiscono dimensioni particolari nel caso di racconti o romanzi, che delineano anche sommariamente, quasi per inciso, affidandosi alla cifra della memoria, certi angoli o certo vissuto di Ventimiglia (IM) e del Ponente Ligure. Soprattutto se scritti da un amico finalmente ritrovato o da chi non incontro più praticamente dai tempi della scuola. E, forse, il mio coinvolgimento è ancora più forte, perché sono libri da me scoperti e, quindi, letti, come mio solito, quasi trasognato, in ritardo.
 
Chi scrive di Ventimiglia (e della zona) di solito non può prescindere dal mare. Dalle piccole baie, dalle calette, dalle rocce, sempre più numerose verso la frontiera. E c'è, tra gli autori cui ho qui solo accennato, chi sottolinea che, a esplorare e vivere questi paesaggi, e questo ambiente, una vera barriera con la Francia non vi sia mai stata.
Ho anche rinvenuto una intrigante scansione, alla quale si affida un personaggio, di nomi di monti ben visibili dalla costa del Ponente Ligure.
Per varie associazioni di idee è riemersa viva nella mia mente una giovanile serata di fine estate, un'escursione dalla Margunaira di Ventimiglia a Via Due Camini, una zona, questa, in discreta altura, che consente un'ampia panoramica, soprattutto sul mare. Non ricordo se entrammo nell'omonima trattoria, meta tradizionale per tanti anni di gite fuori porta, rimaste nel vissuto popolare, anche perché quell'esercizio da tempo è chiuso.
Una serata fatta quasi di niente, se non del discorrere allegramente in compagnia salendo e ridiscendendo, dopo una breve sosta lassù, in città: ero ancora inconsapevole che l'età della spensieratezza stava finendo.



venerdì 11 ottobre 2019

Balùn a Sasso


Sasso, Frazione di Bordighera (IM). A poca distanza dal centro cittadino. 
Ho rimirato da bambino e da adolescente, perché ero più attento a quel tempo a cercare di scoprire il mondo, quel piccolo borgo tante volte dal basso, dai Gallinai, dove abitava la nonna materna. Discretamente inerpicato in collina. Insomma, tante stradine in discesa e la piazza principale aperta da tre lati.
Un amico mi ha raccontato di vecchie partite a livello amatoriale, di “balùn”, il pallone elastico o, ancora, palla pugno, che si facevano un tempo nel paese: preso dalla sua conferma di coloriti trasporti popolari, a me già noti, per questo sport e dal racconto di episodi, come quello di un giocatore del posto in grado, alla battuta, di squarciare la palla, mi sono dimenticato di chiedere quante reti di protezione, data la conformazione di Sasso, usassero allora stendere...


sabato 5 ottobre 2019

Non solo vendemmie, in Costa Azzurra

Uno scorcio di Val Roia francese
 
Senza essere mai stato un frontaliere, in certi periodi ho frequentato abbastanza il Nizzardo e la Costa Azzurra nella parte più vicina alla frontiera. Del resto, ho sempre abitato o a Ventimiglia (IM) o a Bordighera. E ho lavorato a lungo, sino al mio pensionamento, a Sanremo: un'attività che comportò per me anche specifici contatti oltre confine, da cui ho riportato vive memorie di relazioni umane, su cui tenterò di tornare con altri articoli. Del resto, già in precedenza non mi erano mancate aderenze in proposito.

A prescindere dalle escursioni in Francia compiute da bambino ed in giovane età con familiari, mi risultano significative le prime gite scolastiche, di cui sottolineo, quali esempi, alcune tappe. Alto sul mare Eze Village, di cui avevo già capito allora che era un villaggio ricostruito. La parte di Val Roia transalpina, nella quale scorsi la vecchia ferrovia Ventimiglia-Cuneo ancora in disarmo con i suoi arditi ponti crollati, con i binari interrotti, con una malconcia segnaletica d'anteguerra. Due o tre cose sulla Valle delle Meraviglie, invece, le scriverò un'altra volta.

Ho partecipato in compagnia di amici a due vendemmie a Les Arcs, nel 1968 e nel 1969. Per l'esattezza a Les Arcs-sur-Argens, dipartimento del Var. 
Poco lontano dall'uscita di quello svincolo autostradale il mio illustre ospite nella tarda primavera del 1983 mi indicò il ristorante dove fermarci prima di ripartire per Marsiglia. Intuivo vagamente che per lui si trattava di una fermata in una sorta di rivisitazione - dai tempi della Resistenza in Francia! - di luoghi ben noti. Rammento di avere in quell'occasione degustato un prelibato prosciutto d'anatra. Lo scrivo come nota di costume. Rammento di più che anche a quella tavola (in quel momento forse aveva ragione lui!), come del resto per quel viaggio e per la nostra transitoria frequentazione, quel personaggio divagò sempre rispetto alle mie domande circa la sua attività politica clandestina in loco durante la guerra, descritte in un vecchio libro ormai introvabile se non in qualche biblioteca pubblica. Di recente Rodolfo, che per motivi professionali aveva avuto una ben forte consuetudine con quell'uomo, mi ha detto che quelle specifiche confidenze erano state negate pure a lui.

Torno brevemente a quelle due esperienze di vendemmia. Dal treno, ammirai l'incanto delle rocce rosse sul mare (come feci, del resto, quando andai a Parigi). In talune pause guidai, autorizzato, per divertimento il trattore solo usando la frizione: procurai giusto danni lievissimi alle vigne! Una domenica (nella banda c'erano una o due auto di ventimigliesi arrivati dopo e ripartiti prima) ci recammo tutti o quasi a Saint-Tropez. La strada in collina non finiva mai. Probabilmente si trattava dell'altura dei Mori (Les Maures). Quella - credo - che chiude l'orizzonte, nelle belle giornate, dall'Italia. 

Tanti, tanti anni dopo mi intestardii a capire dove sia di preciso quella che da lontano, cioè da qui in Riviera, sembra una gobba di dromedario. Nella vulgata popolare, del cammello. Secondo me Les Maures, per l'appunto. Mi capitò di andare a Frejus e rompere le scatole su quella ricerca per tutto il tragitto a chi mi stava dando quel passaggio. E di chiedere per un certo lasso inutilmente a regatanti nostrani. Fatta una volta di più quell'ipotesi guardando le cartine, me la vidi, infine, confermare da un velista rinsavito, ma non sono ancora del tutto sicuro di questo responso... tanto è vero che altri indicano in  proposito una modesta altura della zona della già citata città di Frejus...
 
Adriano Maini



venerdì 27 settembre 2019

La missione Flap ed i partigiani del ponente ligure


Esiste un rapporto segreto inglese, redatto dal capitano G. K. Long, artista di guerra, in riferimento alla Missione Flap, condotta tra i Partigiani, nel Basso Piemonte, del comandante Mauri e, con culmine nell’ottobre 1944, tra i Partigiani della V^ Brigata Garibaldi, operanti nell’estremo ponente ligure: l’ultimo aspetto é quello che qui interessa.

Il documento in questione venne rintracciato a cura del compianto Giuseppe “Mac” Fiorucci per la preparazione del suo “Gruppo Sbarchi Vallecrosia”.

Solo a seguire per grandi linee lo schema di questa relazione vengono identificati alcuni punti fermi delle vicende della Resistenza, più gravitanti sull'estremo ponente della provincia di Imperia, la Zona Intemelia.

Rendo qui di seguito alcuni esempi.

Il comandante “Leo”, pseudonimo di battaglia di Stefano Carabalona, che, impegnato in quei giorni nella strenua, anche se vana, difesa di Pigna e dell’appena sorta, omonima Repubblica, é già in grado di indicare una via, anche se minima, logistica per evacuare verso le linee alleate via mare gli agenti inglesi, mentre é già pronto, come si é già visto, a conferire veste organizzativa e ruolo di rilievo, nel campo delle comunicazioni clandestine, al "Gruppo Sbarchi Vallecrosia".

Il trasferimento del relatore del piccolo dossier “Flap” e di alcuni suoi compagni di fuga (il capitano Morton e tre aviatori statunitensi), aiutati da una guida, Pierino Loi, che accompagna per la maggior parte del percorso su colline questi alleati - alcuni di loro, il capitano Lees, con molti documenti, e quattro ex-prigionieri britannici, tentarono, invece, con successo in due turni di raggiungere la Francia ormai liberata per le vie dei monti (Tenda, Olivetta S. Michele) - a Ventimiglia, vestiti da contadini, sino ad incontrare Giulio Pedretti, “Corsaro”, (l’uomo che alla Liberazione reca sulle spalle, oltre ad altre spedizioni di collegamento via mare con altri mezzi, anche il peso di 27 traversate in canotto di gomma, per trasportare ex-prigionieri alleati in fuga, altri uomini, armi, munizioni, ecc), che li porta materialmente - insieme a Pasquale Corradi - a Montecarlo in barca a remi, un viaggio di cui aveva, per l’appunto, già appurato la possibilità “Leo”.

Vitò, al secolo Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", a dicembre del 1944, poi, della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi “F. Cascione”, di cui il richiamato documento dice che era stato prigioniero politico del fascismo.

Nino Siccardi, "Curto", in quel momento comandante della II^ Divisione, da dicembre comandante della “I^ Zona Operativa Liguria”, compresa tra Ventimiglia e l’Albenganese.

La miseria della popolazione dell’entroterra, la penuria di generi alimentari, gli scarsi armamenti dei partigiani, che a loro volta scontano i primi due aspetti.

L’incontro con alcuni civili che reggono la Repubblica di Pigna (fine agosto-metà ottobre 1944): il periodo che va dal 5 al 18 settembre 1944 è il più esaltante per la vita del territorio libero, perché é quando vengono costituiti gli organismi democratici, ma non é quello che scorgono questi alleati, che entrano in territorio ligure il 27 settembre circa.

L’ammirazione - sempre nella citata relazione - per il comportamento in battaglia dei partigiani.

Sull’eroismo dei patrioti combattenti a Pigna esiste, invero, una discreta letteratura, che discende in larga misura proprio dalle parole entusiaste che in merito pronunciò in interviste successive e nel suo libro “Missione inside” il capitano - canadese - Paul Morton, che, al pari di Lees e di Long, aveva preso per i suoi superiori altri appunti.

Ma come ho già provato a raccontare qui uno strano oblio calò presto su questa Missione e su alcuni dei suoi componenti.




giovedì 19 settembre 2019

Quella palestra a Ventimiglia (IM)


L’ex G.I.L. di Ventimiglia (IM), come viene ancora chiamata, oggi una palestra, in uso, se non sbaglio, ad alcune società sportive. E lo spiazzo davanti un parcheggio a rotazione.

Per circa due decenni é stato l’unico impianto a disposizione delle scuole medie inferiori del centro città e degli istituti superiori.

Ci sono passato anch’io. Per otto anni.

In attesa di una lezione pomeridiana (allora per le superiori usava così), una volta ho sentito, tutto ammirato, un ragazzo un po’ più grande di me parlare di Puskás a Bordighera, di quel grande campione del calcio che nella Città delle Palme cercava di tenersi in forma, allenandosi con la giovanile locale.

In quel sito, dentro e fuori, anzi, fuori, perché le prove di corsa si facevano logicamente all’aperto, ho coltivato i miei sogni da adolescente sull’atletica leggera. Io, inconcludente, come quasi sempre, se non si trattava, come allora, di studiare, e, poi, di lavoro. Sono anni che non scrivo di questi aspetti. Ci penserò.

Non riesco a ritrovare una fotografia scattata, nell’occasione della premiazione, insieme, tra gli altri, a due insegnanti del Liceo, che a me furono molto cari. Ero il capitano, per meriti di… età, della nostra squadra allievi di pallavolo, che vinse nel 1966 il campionato provinciale studentesco. E tutto il torneo, per nostra fortuna, mi sembra di ricordare, si era svolto all’aperto dell’ex G.I.L.

Il patrimonio di ricordi di quel posto non può che essere, pertanto, che comune a centinaia e centinaia di persone della mia zona. Capita, del resto, che tanti scrivano di quel luogo e della strada che da un altro nome ancora alla palestra, Via Chiappori.

Appena finita la seconda guerra mondiale, l’edificio in questione venne adibito a scopi più pratici inerenti la vita che riprendeva a scorrere un po’ più tranquilla. C’era una mensa popolare, ad esempio: e fu là, dove mia madre ragazza allora lavorava, che i miei genitori si conobbero…


Prima ancora, come ci ricorda tristemente il nome, G.I.L., vale a dire Gioventù Italiana del Littorio, la palestra, come tante in Italia, venne eretta per celebrare biechi vanti del regime fascista. Di tanti racconti che ho sentito fare intorno a quel luogo per i tristi anni 1930, in genere concernenti il premilitare, aberrante istituzione del fascismo, voglio, in conclusione, riportarne almeno uno. Il seguente, che riprendo da un mio precedente post: "il giovane pescatore, uno di quelli che aiutava gli ebrei stranieri, dannati dal regime con le leggi razziali, a fuggire in barca dall’Italia verso la Francia nella tormentata stagione 1938-’39 [in proposito: Ombre al confine di Paolo Veziano L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014], in futuro valente floricoltore, che si presentava al premilitare fascista a piedi nudi, sostenendo che in casa non si avevano soldi per comprargli le scarpe: al che il capomanipolo o centurione, il brutto ceffo in camicia nera, insomma, che dirigeva la situazione, lo mandava via, con tacita soddisfazione del nostro personaggio, che di tutta evidenza aveva ottenuto, almeno una volta, il suo scopo".




mercoledì 11 settembre 2019

Fumetti...

Del 1963
Quando, qualche anno fa, cominciai a scrivere di fumetti, partendo da un personaggio del vecchio "intrepido", Roland Eagle, non avevo a disposizione immagini da pubblicare, essendomi dimenticato di avere a portata di mano una o due copie di vecchi "giornaletti", come quella che appare qui sopra, nonché di diversi numeri di Albi di "Tex" decisamente datati. 

Di lì a breve venni informato che l'amico Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM) era, come tuttora è, un valido collezionista. Con la sua collaborazione rimediai alle carenze indicate e mi inoltrai sempre di più sul sentiero dell'esplorazione dei vecchi fumetti, in particolare di quelli risalenti alla seconda metà degli anni 1950, oggetto del desiderio del bambino che allora ero. 

Nella presente occasione provo una volta di più a rimediare a quelle mie incertezze divulgando, invece, qualche immagine di copertine d'epoca, tutte di proprietà del citato amico, soprattutto spaziando ben prima del periodo della mia infanzia. 

Del 1937 - Collezione: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)
 
Come si può leggere, del 16 maggio 1937 - Collezione: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)
 
Del 1941 - Collezione: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)

Del 1940 - Collezione: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)
Del maggio 1945, dunque, appena finito il secondo conflitto mondiale - Collezione: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)

Del 1949 - Collezione: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)
Del 1945 - Collezione: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)

Del 22 giugno 1948 - Collezione: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)
 
Senza grandi pretese...
 
Adriano Maini

mercoledì 4 settembre 2019

Vecchie gite in bicicletta

Pigna (IM), vista da Castelvittorio
Se ci incontriamo alla presenza di sua moglie, I. mi invita sempre a precisare alla sua gentile consorte che quando eravamo dodicenni andammo almeno una volta in bicicletta dal bivio di Nervia di Ventimiglia (IM), dove allora io abitavo, sino a Castelvittorio. Un'escursione, tra andata e ritorno, di più di cinquanta chilometri. E soprattutto era (è) dura la salita finale per arrivare a quel paese, dove I. si recava volentieri per salutare i suoi nonni materni. Io confermo sempre tutto alla signora, che continua a non credere a quella nostra prodezza. In genere, tengo per me altri ricordi di quelle lontane giornate. Tipo che facevamo gite anche più corte. Forse per prepararci meglio al... balzo finale. Che I. usava la bici da donna di mia madre, leggera e dal rapporto molto leggero. Io, invece, un mezzo meccanico pesante, che sviluppava diversi metri in più ad ogni pedalata: un particolare non agevole in salita. Che mio padre, che non lo usava più, diceva di avere acquistato, usato, prima della guerra da un bersagliere (o qualcosa del genere). Una bicicletta che meriterebbe un discorso a parte, dunque, ma anche per altri motivi. Meriterebbero un discorso a parte anche altri giri in bicicletta. E non solo quelli fatti con I. Mi vengono in mente, tuttavia, due considerazioni di carattere più generale. La prima: I. doveva farsi ancora diversi chilometri a piedi per tornare a casa, su in collina a Siestro. L'altra: mi stupisco ancora adesso che così giovani d'età fossimo lasciati liberi di condurre quelle esperienze; non c'era il traffico del giorno d'oggi, ma la provinciale di Val Nervia non era certo deserta di automobili. Ancora. Ho abbozzato altrove che a quell'età non mi recavo, invece, ancora da solo al mare. O solo poche volte, quasi di nascosto. Adducendo che forse i miei, dato che avrei dovuto accompagnare anche mio fratello più piccolo, non mi consideravano ancora adatto a fare il... bagnino. In ogni caso avevo imparato tardi a nuotare. Del resto, anche ad andare in bicicletta. Ma su quest'ultimo versante fui almeno capace di recuperare in fretta, come forse si è visto, il tempo perso.

L'anno dopo i primi "eventi" qui descritti, nel settembre del 1963, ero a Bardineto (SV), in discreta altura, con mamma, fratellini ed amici di famiglia. In qualche modo ci era pervenuta al seguito quella bicicletta da donna, cui ho già fatto riferimento. Con quella in qualche occasione scendevo in direzione del mare, cantando a squarciagola: tanto lì sì che la strada era per lo più deserta. Poi un giorno incontrai Mauro G., ex compagno di scuola, dotato di una bella bici da corsa. Accettai una volta o due da lui una sfida di velocità lungo un viale del paese, ma non c'era partita: ero destinato alle difficoltà! Andammo qualche volta sino a Calizzano, forse anche a Millesimo, sfiorando l'itinerario delle truppe di Napoleone del 1796: il ritorno era una bella salita. Qualche anno fa Mauro G., confermandomi, invero, che era stato più volte dai nonni a Bardineto, mi smentiva il suo possesso di una bicicletta da corsa e, ancora più, di avermi mai incontrato da quelle parti: scherzi della memoria! O mia fantasia creativa?

Sempre di settembre, ma nel 1964, eravamo ospiti di un simpatico prozio di mio padre e della sua famiglia, a Felegara, Frazione di Medesano, in provincia di Parma. Lo stesso comune dove era nato papà, ma in Frazione Miano. Con un mio coetaneo del posto, che mi faceva anche da cicerone, mi recai diverse volte in bicicletta a Parma. Con un mezzo forse procuratomi dal mio nuovo amico. Lungo un tragitto molto (finalmente!) pianeggiante. Ed anche un po' più corto di quello, già descritto, per Castelvittorio. Prima la ex Statale (oggi provinciale) 357 di Fornovo. Poi la Via Emilia. Si tratta di dati che ho desunto - se li ho ben interpretati - da Wikipedia. L'aspetto che ricordo bene in modo diretto è, invece, che la Via Emilia presentava ai bordi dei lunghi tratti di pista ciclabile, molto utili per noi ciclisti, perché il traffico automobilistico già allora da quelle parti non scherzava. Mi rimane fuori tema in questa occasione parlare dei monumenti di Parma. Aggiungo che a Ponte Taro, dove si incontra appunto la Via Emilia se si arriva da Medesano (passando per Noceto), ho compiuto altre sgambate in bicicletta in quel soggiorno: eravamo passati a salutare un altro prozio ed anche lì avevo trovato il mezzo di sfogarmi!

Ripenso con alquanta meraviglia a quanto ho sin qui scritto, perché abbondonai presto, inopinatamente, l'uso di una qualsiasi bicicletta, che ripristinai solo una volta o due tanti anni dopo, ormai padre, portando per brevi giri sulla passeggiata a mare di Bordighera non so più chi della mia prole, saldamente legato ad un seggiolino di una vecchia  Graziella.




mercoledì 28 agosto 2019

Curiosando tra le mie cartoline d'epoca...


Parenzo, oggi Poreč, Istria, Croazia. Cartolina spedita nel 1901, quando quel territorio era ancora sotto l'impero austriaco.




Un'immagine di Trieste del medesimo periodo. 


Aiguille de Bionnasay (sul Web questo nome lo trovo scritto oggi con due enne), Monte Bianco. 4.052 metri, in ogni caso. Una fotografia quasi d'epoca come le prime due. Non facile a realizzarsi, insomma.
Santa Margherita Ligure. Anche questa - come si potrà notare - "viaggiata" nel 1901. 
  
 Tunisia, Gafsa. Oasi. Anche in questo caso gli anni di riferimento sono, più o meno, gli stessi. 
Saint-Raphael.

Nizza, Piazza Massena, ai primi del 1900