Pigna (IM), vista da Castelvittorio |
Se ci incontriamo alla presenza di sua moglie, I. mi invita sempre a precisare alla sua gentile consorte che quando eravamo dodicenni andammo almeno una volta in bicicletta dal bivio di Nervia di Ventimiglia (IM), dove allora io abitavo, sino a Castelvittorio. Un'escursione, tra andata e ritorno, di più di cinquanta chilometri. E soprattutto era (è) dura la salita finale per arrivare a quel paese, dove I. si recava volentieri per salutare i suoi nonni materni. Io confermo sempre tutto alla signora, che continua a non credere a quella nostra prodezza. In genere, tengo per me altri ricordi di quelle lontane giornate. Tipo che facevamo gite anche più corte. Forse per prepararci meglio al... balzo finale. Che I. usava la bici da donna di mia madre, leggera e dal rapporto molto leggero. Io, invece, un mezzo meccanico pesante, che sviluppava diversi metri in più ad ogni pedalata: un particolare non agevole in salita. Che mio padre, che non lo usava più, diceva di avere acquistato, usato, prima della guerra da un bersagliere (o qualcosa del genere). Una bicicletta che meriterebbe un discorso a parte, dunque, ma anche per altri motivi. Meriterebbero un discorso a parte anche altri giri in bicicletta. E non solo quelli fatti con I. Mi vengono in mente, tuttavia, due considerazioni di carattere più generale. La prima: I. doveva farsi ancora diversi chilometri a piedi per tornare a casa, su in collina a Siestro. L'altra: mi stupisco ancora adesso che così giovani d'età fossimo lasciati liberi di condurre quelle esperienze; non c'era il traffico del giorno d'oggi, ma la provinciale di Val Nervia non era certo deserta di automobili. Ancora. Ho abbozzato altrove che a quell'età non mi recavo, invece, ancora da solo al mare. O solo poche volte, quasi di nascosto. Adducendo che forse i miei, dato che avrei dovuto accompagnare anche mio fratello più piccolo, non mi consideravano ancora adatto a fare il... bagnino. In ogni caso avevo imparato tardi a nuotare. Del resto, anche ad andare in bicicletta. Ma su quest'ultimo versante fui almeno capace di recuperare in fretta, come forse si è visto, il tempo perso.
L'anno dopo i primi "eventi" qui descritti, nel settembre del 1963, ero a Bardineto (SV), in discreta altura, con mamma, fratellini ed amici di famiglia. In qualche modo ci era pervenuta al seguito quella bicicletta da donna, cui ho già fatto riferimento. Con quella in qualche occasione scendevo in direzione del mare, cantando a squarciagola: tanto lì sì che la strada era per lo più deserta. Poi un giorno incontrai Mauro G., ex compagno di scuola, dotato di una bella bici da corsa. Accettai una volta o due da lui una sfida di velocità lungo un viale del paese, ma non c'era partita: ero destinato alle difficoltà! Andammo qualche volta sino a Calizzano, forse anche a Millesimo, sfiorando l'itinerario delle truppe di Napoleone del 1796: il ritorno era una bella salita. Qualche anno fa Mauro G., confermandomi, invero, che era stato più volte dai nonni a Bardineto, mi smentiva il suo possesso di una bicicletta da corsa e, ancora più, di avermi mai incontrato da quelle parti: scherzi della memoria! O mia fantasia creativa?
Sempre di settembre, ma nel 1964, eravamo ospiti di un simpatico prozio di mio padre e della sua famiglia, a Felegara, Frazione di Medesano, in provincia di Parma. Lo stesso comune dove era nato papà, ma in Frazione Miano. Con un mio coetaneo del posto, che mi faceva anche da cicerone, mi recai diverse volte in bicicletta a Parma. Con un mezzo forse procuratomi dal mio nuovo amico. Lungo un tragitto molto (finalmente!) pianeggiante. Ed anche un po' più corto di quello, già descritto, per Castelvittorio. Prima la ex Statale (oggi provinciale) 357 di Fornovo. Poi la Via Emilia. Si tratta di dati che ho desunto - se li ho ben interpretati - da Wikipedia. L'aspetto che ricordo bene in modo diretto è, invece, che la Via Emilia presentava ai bordi dei lunghi tratti di pista ciclabile, molto utili per noi ciclisti, perché il traffico automobilistico già allora da quelle parti non scherzava. Mi rimane fuori tema in questa occasione parlare dei monumenti di Parma. Aggiungo che a Ponte Taro, dove si incontra appunto la Via Emilia se si arriva da Medesano (passando per Noceto), ho compiuto altre sgambate in bicicletta in quel soggiorno: eravamo passati a salutare un altro prozio ed anche lì avevo trovato il mezzo di sfogarmi!
Ripenso con alquanta meraviglia a quanto ho sin qui scritto, perché abbondonai presto, inopinatamente, l'uso di una qualsiasi bicicletta, che ripristinai solo una volta o due tanti anni dopo, ormai padre, portando per brevi giri sulla passeggiata a mare di Bordighera non so più chi della mia prole, saldamente legato ad un seggiolino di una vecchia Graziella.