mercoledì 25 giugno 2025

Stranomi, ma non solo


C'era a Bordighera una bella villa, di cui oggi rimane traccia solo - usando la fantasia - per via di un terreno incolto una volta occupato da qualche pertinenza della citata abitazione, la quale, invero, sorgeva, circondata da un vasto parco in cui spiccavano gli eucalipti, abbastanza arretrata rispetto alla Via Aurelia.
Chi l'aveva visitata ne parla ancora come di una casa delle meraviglie, che ospitava altresì in quello che veniva definito museo diversi ricordi di caccia esotica del proprietario.
La demolizione e l'occupazione di suolo di tutta evidenza vennero effettuati per un trasferimento di volumetria a vantaggio di nuove palazzine.
Si ebbe necessità in una specifica occasione di ricorrere a uomini di fatica per lo spostamento o l'arrivo di un pesante elemento di arredamento. Il padrone si raccomandò che quei facchini a giornata procedessero a piedi scalzi per non rovinare i preziosi marmi dei pavimenti, ma male gliene incolse perché uno dei due lavoranti, un vero Maciste, aveva delle estremità, appena coperte da scarpe per il caso in questione, così luride da fare, date le nefaste conseguenze, rimpiangere a lungo il committente per l'ingaggio effettuato.
L'episodio venne raccontato da Sergio Marcenaro, già sindaco di quel paese, nel corso di una conversazione con Arturo Viale, appena sentito il soprannome in dialetto di un abitante di Soldano.
Ci sono nomignoli che talora si ripetono nelle storie di Arturo Viale e di Gianfranco Raimondo.
Anche quest'ultimo nei suoi articoli non fa mancare la rievocazione di tipi bizzarri: qui sarà sufficiente menzionare chi - sempre molto addietro - in Via Dante (ancora oggi da molti appellata come Via Regina) si era per così dire specializzato a spaccare tirando frecce le zucche dei numerosi pergolati.
Ancora a Bordighera si vedeva ai tempi un caratteristico personaggio, che sospingeva una carriola in legno, nella quale il più delle volte appoggiava solo la copia di un quotidiano, tornare dal centro città a Villa Hortensia, dove svolgeva diverse mansioni per conto del professore Raffaello Monti - o della famiglia - e nel cui garage secondo alcune versioni alloggiava: a lui spettò, in ogni caso, l'onore di essere ritratto a torso nudo - come in effetti si aggirava, se non quando indossava una sorta di canottiera o gilé - dal pittore Roman Bilinski.
Sempre da Bordighera emerge la soluzione di sciorinare, a casaccio ed a titolo indicativo, qualche soprannome senza tema di affibbiare al singolo un circostanza controversa, perché selezionato da un vecchio articolo di Mario Armando (altro importante cultore di cose nostrane e non solo del dialetto: a lui si devono ad esempio significative rievocazioni del passaggio davanti a questa costa di confine del Rex) comparso nel numero di settembre 2010 di "Paise Autu", periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, nel quale si usava come principale il termine "stranome" con l'avvertenza che la "nomea" - al plurale - "i nosci veci chiamavano 'Spronomi' non pregiudicanti amicizie": Gianèira, Gianòira, Gianè, Manineta, Scimùn, Tunina, Dumuà, Gigè, Neghin, Martinbè, Mè, Chicheta, Perugin, Baiòca, Sciasciùn, i Linghèia, u Sàrdu, Sciangài, Gianchetu, Sparissoera, Scùrpina, Pistùn, Bagiotu, Castagnà, Tirèijina, Perussetu, Castagneta, Patatina, Scijèrbura, Ciarùn, Caretè, Ferandìn, Sciurbetè, Strascè, Vacà, Pastù, Pulaioe, Pecina, Mamà, Biunda, Tetasse, Lerfan, Gamba, Becu, Bellocchio, Sètelèrfi, Ranghetu, Boetascui, Scciapabricheti, Dentan, Gamèla, Paciarò, Sètelèrfi, Zibà, Manèlu, Vagliò, Favèla, Nenenè, Patacà, Bazazò, Bedò, Mungìn, Cantalamessa, Cundutu, Ciò, Guapa, Lagnò, Taleti, Chipò, Meninò, Fanfafè, Sciànte, Sigareta, Putoschi, Bulò.
Ed allora con lo stesso criterio si possono aggiungere nomignoli che affiorano negli scritti dei richiamati autori di Ventimiglia, quali Bacì di Sciapi, Cartun, Ciurina, Giuà de Canun, Sciacamoti, Sciapassùche, Tapapussi. Altri ancora sono rimandati ad un prossimo articoletto.

Adriano Maini