Livio Berruti non sa neppure chi sia io, ma io gli auguri per i suoi ottant'anni idealmente glieli mando lo stesso. Anche se, credo, leggermente in ritardo.
Ebbi la fortuna di stare al suo fianco, come attesta questa fotografia, su di un palco a Ventimiglia (IM) in occasione delle premiazioni di un lontano Agosto Medievale, manifestazione tipica della città di confine.
Quella volta gli balbettai qualche confusa parola circa le emozioni che la sua figura mi ispirava sin da bambino. Come cercherò di precisare più avanti.
Credo che in qualche caso si provino a pelle sensazioni giuste.
La mia fugace conoscenza dell'ex grande atleta mi diede la sensazione di essere vicino a, come si diceva una volta dalle mie parti, un gran signore.
Questa mia datata impressione mi è stata confermata - un po' come mi era già capitato dalla lettura dei giornali in occasione della morte di Kopa, di cui avevo parlato qui - da una recente intervista di Berruti, cagionata, per l'appunto, dal compimento di questo suo importante compleanno. Le sue parole - in tal caso, al di là dei risvolti tecnici, pure interessanti per me, delle sue pregresse imprese agonistiche - ai miei occhi fanno emergere il ritratto a tutto tondo di un uomo intelligente, spiritoso, pieno di vita, sensibile verso il prossimo. Non amo fare pubblicità, ma consiglio a chi dei miei pochi lettori fosse interessato a saperne di più di cercare l'articolo da me citato in "la Repubblica".
Lessi della vittoria di Berruti (sorvolo sul relativo primato mondiale uguagliato due volte e sugli successivi sviluppi della sua attività sportiva) nei 200 metri piani alle Olimpiadi di Roma del 1960 su di un giornale a disposizione dei clienti in un bar di Coldirodi, Frazione di Sanremo (IM). Avevo dieci anni. All'epoca in pratica mi interessava solo il ciclismo. Dovrei - vorrei - ripetere che erano altri tempi con altri mezzi - scarsi - di comunicazione, per cercare di inquadrare quel contesto sociale, ma non voglio allungare questo articolo. Circa l'atletica leggera probabilmente ricordavo solo in modo confuso nomi come Consolini e Zatopek, desunti dalla lettura del mio amato "Corriere dei Piccoli".
Inopinatamente la notizia di quella medaglia d'oro mi galvanizzò. Presi a seguire Berruti, la sua ed altre connesse discipline, altri atleti. Mi aiutava alla bisogna anche il successivo arrivo di un televisore in casa nostra. Ma pure la mia ormai costante attenzione ai quotidiani che comprava mio padre. Celiando, potrei aggiungere che, per una breve - perché su troppe cose sono stato incostante - stagione, cercai di emulare Berruti, anche se, in quanto allievo, su più brevi (80 metri) e più lunghe (300 metri) distanze.
In ogni caso devo ringraziare mia nonna materna e la zia più giovane, che nel settembre 1960 mi avevano portato su quell'altura che guarda sul mare per l'annuale ricorrenza del locale Santuario della Madonna Pellegrina.
Adriano Maini