Aveva un'amante piemontese il gerarchetto fascista che denunciava due camerati, i quali all'indomani della caduta del fascismo avevano esultato in piazza ad Imperia, e la coinvolse ben bene nelle sue mene, al punto da indurla al 25 aprile 1945 a fuggire nella colonna dei miliziani neri profughi in cui si trovava anche Maria Zucco, "la donna velata" di famigerata memoria, una presenza particolarmente inquietante per una giovane sballottata da eventi più grandi lei e che che aspirava solo a rientrare dalle sue parti.
L'uomo faceva il gioielliere in Via Stazione a Ventimiglia, ma era anche un agente segreto dell'U.P.I. della Repubblica di Salò. Ce ne erano diversi in provincia di Imperia di tali spioni, a quanto pare, perché la sigla assegnata il 17 febbraio 1944 al nostro conteneva il numero 38. Documenti concernenti i pesanti addebiti a suo carico vennero inviati in forma anonima alle autorità di epurazione. Curiosamente, risulta che durante il conflitto dai partigiani gli erano stati sequestrati dei beni in quel di Pigna. Il cognome è lo stesso di valenti operatori economici della zona intemelia, probi cittadini, ma allo stato non è possibile accertare se sussiste parentela. In ogni caso, la salma risulta sepolta nel cimitero di Valle Armea a Sanremo.
Si firmava, per i dovuti canoni della clandestinità, con il nome di Andrea il comandante partigiano - tale sembra dal suo scritto, conservato presso la Fondazione Gramsci - che ai primi del 1945 inviava una lunga relazione ad un esponente di Giustizia e Libertà a Milano, anche questi avvolto dall'anonimato. Sviluppava con toni retorici di stampo ottocentesco un'analisi documentata delle azioni garibaldine nel ponente ligure, in particolare nella zona di confine con la Francia, ma aggiungeva che si sentiva a quella data più a suo agio, a fianco com'era di Vitò, Giuseppe Vittorio Guglielmo, perché con la morte dei comandanti comunisti partigiani Marco, Candido Queirolo, e Cion, Silvio Bonfante, anche il capo della Zona Operativa, anch'egli comunista, il Curto, Nino Siccardi, ci sarebbero state meno iniziative avventate. Non si capisce quanta malafede avesse quest'uomo, visto che verso il momento della Liberazione l'unica operazione che si potrebbe definire avventata fu quella dell'attacco a Baiardo del 10 marzo 1945, ma suggerita con energia dall'ufficiale alleato di collegamento, il britannico Robert Bentley. Sarebbe, inoltre, interessante riuscire a svelare l'identità di questo singolare corrispondente, che forse ha provato a mascherarsi per i posteri collocandosi sulla scena in terza persona: lo svelamento di questo enigma è quasi dietro l'angolo, ma darebbe un brutto colpo all'aura di un protagonista della Resistenza imperiese.
Ha un nome il maresciallo delle Brigate Nere che partecipò attivamente ai rastrellamenti - condotti dai tedeschi - di Castelvittorio, Pigna, Buggio, Isolabona, culminati con la fucilazione di otto partigiani ad Isolabona il 2 marzo 1945 e di quattordici partigiani a Latte di Ventimiglia il 20 (forse il 19) marzo 1945, ma che comportarono altre uccisioni. Alle torture efferate praticate su vasta scala partecipò anche questa camicia nera, che aggiunse ignominia ad ignominia trasmettendo i baci del figlio patriota ad una madre, lasciandole intendere che era ancora vivo quando invece era già stato giustiziato.
L'uomo faceva il gioielliere in Via Stazione a Ventimiglia, ma era anche un agente segreto dell'U.P.I. della Repubblica di Salò. Ce ne erano diversi in provincia di Imperia di tali spioni, a quanto pare, perché la sigla assegnata il 17 febbraio 1944 al nostro conteneva il numero 38. Documenti concernenti i pesanti addebiti a suo carico vennero inviati in forma anonima alle autorità di epurazione. Curiosamente, risulta che durante il conflitto dai partigiani gli erano stati sequestrati dei beni in quel di Pigna. Il cognome è lo stesso di valenti operatori economici della zona intemelia, probi cittadini, ma allo stato non è possibile accertare se sussiste parentela. In ogni caso, la salma risulta sepolta nel cimitero di Valle Armea a Sanremo.
Si firmava, per i dovuti canoni della clandestinità, con il nome di Andrea il comandante partigiano - tale sembra dal suo scritto, conservato presso la Fondazione Gramsci - che ai primi del 1945 inviava una lunga relazione ad un esponente di Giustizia e Libertà a Milano, anche questi avvolto dall'anonimato. Sviluppava con toni retorici di stampo ottocentesco un'analisi documentata delle azioni garibaldine nel ponente ligure, in particolare nella zona di confine con la Francia, ma aggiungeva che si sentiva a quella data più a suo agio, a fianco com'era di Vitò, Giuseppe Vittorio Guglielmo, perché con la morte dei comandanti comunisti partigiani Marco, Candido Queirolo, e Cion, Silvio Bonfante, anche il capo della Zona Operativa, anch'egli comunista, il Curto, Nino Siccardi, ci sarebbero state meno iniziative avventate. Non si capisce quanta malafede avesse quest'uomo, visto che verso il momento della Liberazione l'unica operazione che si potrebbe definire avventata fu quella dell'attacco a Baiardo del 10 marzo 1945, ma suggerita con energia dall'ufficiale alleato di collegamento, il britannico Robert Bentley. Sarebbe, inoltre, interessante riuscire a svelare l'identità di questo singolare corrispondente, che forse ha provato a mascherarsi per i posteri collocandosi sulla scena in terza persona: lo svelamento di questo enigma è quasi dietro l'angolo, ma darebbe un brutto colpo all'aura di un protagonista della Resistenza imperiese.
Ha un nome il maresciallo delle Brigate Nere che partecipò attivamente ai rastrellamenti - condotti dai tedeschi - di Castelvittorio, Pigna, Buggio, Isolabona, culminati con la fucilazione di otto partigiani ad Isolabona il 2 marzo 1945 e di quattordici partigiani a Latte di Ventimiglia il 20 (forse il 19) marzo 1945, ma che comportarono altre uccisioni. Alle torture efferate praticate su vasta scala partecipò anche questa camicia nera, che aggiunse ignominia ad ignominia trasmettendo i baci del figlio patriota ad una madre, lasciandole intendere che era ancora vivo quando invece era già stato giustiziato.
Adriano Maini