Stefano era stato uno dei ragazzi dalle "magliette a striscie" che, infiammati dal comizio di Sandro Pertini del 30 giugno 1960 in Piazza De Ferrari, avevano costituito la spina dorsale delle imponenti manifestazioni dei primi di luglio di quell'anno, le quali, pur funestate dalle brutali cariche della polizia, avevano infine impedito lo svolgimento del congresso dei neofascisti del Msi a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza.
Pochi anni dopo questi eventi, capostazione a Ventimiglia, prese ad abitare tra Vallecrosia, dove confermò la sua iscrizione al Partito comunista, e la zona di confine con la Francia.
Fu dirigente locale del sindacato di settore della Cgil, allora in sigla denominato S.F.I., la cui sede, con il nuovo appellativo, comprensivo di tutti i trasporti, è rimasta tale e quale presso lo scalo. Ostinato nelle sue idee, venne presto in contrasto con altri colleghi. Aveva fatto, comunque, in tempo ad animare il Dopolavoro Ferroviario anche con un cineforum, così teatro di forti dibattiti, che altri, non lui, fecero in modo di chiudere, e a collaborare con altro dinamico e simpatico ferroviere per la realizzazione di gite in Costa Azzurra, tra cui rimase memorabile quella sino ai musei di Saint-Paul-de-Vence: in ogni caso faceva in modo che fossero presenti anche persone non dello stretto ambiente.
Dei viaggi che privatamente fece all'estero il figlio di un altro ferroviere conserva ancora la fotografia che li ritrae davanti al più famoso ponte di Londra, il "Tower Bridge", insieme ad una occhialuta graziosa ragazza, di cui non si sa più niente.
Pochi anni dopo questi eventi, capostazione a Ventimiglia, prese ad abitare tra Vallecrosia, dove confermò la sua iscrizione al Partito comunista, e la zona di confine con la Francia.
Fu dirigente locale del sindacato di settore della Cgil, allora in sigla denominato S.F.I., la cui sede, con il nuovo appellativo, comprensivo di tutti i trasporti, è rimasta tale e quale presso lo scalo. Ostinato nelle sue idee, venne presto in contrasto con altri colleghi. Aveva fatto, comunque, in tempo ad animare il Dopolavoro Ferroviario anche con un cineforum, così teatro di forti dibattiti, che altri, non lui, fecero in modo di chiudere, e a collaborare con altro dinamico e simpatico ferroviere per la realizzazione di gite in Costa Azzurra, tra cui rimase memorabile quella sino ai musei di Saint-Paul-de-Vence: in ogni caso faceva in modo che fossero presenti anche persone non dello stretto ambiente.
Dei viaggi che privatamente fece all'estero il figlio di un altro ferroviere conserva ancora la fotografia che li ritrae davanti al più famoso ponte di Londra, il "Tower Bridge", insieme ad una occhialuta graziosa ragazza, di cui non si sa più niente.
Di Silvano in particolare, nativo della Bassa Mantovana, quasi sempre poi residente in Bordighera, si potrebbe scrivere un libro.
Un cenno a lui l'ha fatto invero Giuseppe "Mac" Fiorucci nel suo Ibrahim, i datteri, il pesto. Tragicomiche di un vallecrosino nel deserto della Libia di Gheddafi (Associazione Culturale "Il Ponte" - Vallecrosia, 2011).
Anche Silvano come capo squadra e in seguito capo cantiere aveva lavorato in Libia, ma non solo: ne riportava spesso splendide rose del deserto che donava agli amici, che, disattenti loro o i loro familiari, si ritrovavano spesso sbriciolati in casa quei magnifici cristalli, così che non è dato recuperare pertinenti scatti in chiave nostrana.
Andando a ritroso, si può puntualizzare che Silvano, a lungo militante comunista, si ritrovò, sospinto dal vero incaricato, a fare tanta campagna elettorale a favore della legge sul divorzio, sottoposta al referendum del 1974, tra gli emigrati italiani nel Nizzardo. Conobbe connazionali ceramisti di Vallauris, dai quali l'anno dopo prese a rifornirsi per un commercio che lo portò sia ad esporre alla Fiera di Milano che ad aprire un negozio davanti all'oggi diruto Mercato dei Fiori di Vallecrosia, area nella quale si tengono di tanto in tanto mercatini e piccole fiere.
Ancora prima aveva fatto l'esperienza di guardia notturna, mestiere che aveva convinto a fare abbracciare anche a Zambo dei Gallinai, che, però, a Verona, con quella divisa volle rimanere solo pochi mesi, oltretutto presto imitato dal suo mentore.
Alla svolta degli anni Novanta ricopriva un grosso ruolo operativo in un'importante azienda edile con tante opere commissionate in Milano: nel capoluogo lombardo ritrovò conoscenti immigrati dalla Riviera dei Fiori che là svolgevano compiti professionali di rilievo: due di loro scesero per partecipare al suo secondo matrimonio a Bordighera dove, invero, Silvano, rientrava ogni fine settimana e dove in gioventù aveva fatto a sufficienza il "vitellone".
Dopo di che per un bel pezzo non si mosse più dalla città delle palme, perché ormai titolare di una sua impresa di costruzioni.
Un cenno a lui l'ha fatto invero Giuseppe "Mac" Fiorucci nel suo Ibrahim, i datteri, il pesto. Tragicomiche di un vallecrosino nel deserto della Libia di Gheddafi (Associazione Culturale "Il Ponte" - Vallecrosia, 2011).
Anche Silvano come capo squadra e in seguito capo cantiere aveva lavorato in Libia, ma non solo: ne riportava spesso splendide rose del deserto che donava agli amici, che, disattenti loro o i loro familiari, si ritrovavano spesso sbriciolati in casa quei magnifici cristalli, così che non è dato recuperare pertinenti scatti in chiave nostrana.
Andando a ritroso, si può puntualizzare che Silvano, a lungo militante comunista, si ritrovò, sospinto dal vero incaricato, a fare tanta campagna elettorale a favore della legge sul divorzio, sottoposta al referendum del 1974, tra gli emigrati italiani nel Nizzardo. Conobbe connazionali ceramisti di Vallauris, dai quali l'anno dopo prese a rifornirsi per un commercio che lo portò sia ad esporre alla Fiera di Milano che ad aprire un negozio davanti all'oggi diruto Mercato dei Fiori di Vallecrosia, area nella quale si tengono di tanto in tanto mercatini e piccole fiere.
Ancora prima aveva fatto l'esperienza di guardia notturna, mestiere che aveva convinto a fare abbracciare anche a Zambo dei Gallinai, che, però, a Verona, con quella divisa volle rimanere solo pochi mesi, oltretutto presto imitato dal suo mentore.
Alla svolta degli anni Novanta ricopriva un grosso ruolo operativo in un'importante azienda edile con tante opere commissionate in Milano: nel capoluogo lombardo ritrovò conoscenti immigrati dalla Riviera dei Fiori che là svolgevano compiti professionali di rilievo: due di loro scesero per partecipare al suo secondo matrimonio a Bordighera dove, invero, Silvano, rientrava ogni fine settimana e dove in gioventù aveva fatto a sufficienza il "vitellone".
Dopo di che per un bel pezzo non si mosse più dalla città delle palme, perché ormai titolare di una sua impresa di costruzioni.
Apolitico, per non dire qualunquista, era, invece, Carlo, simpatico e cordiale, Carlo che aveva ben conosciuto i "vitelloni" di Ventimiglia, ma che le sue avventure femminili se le era cercate tutte da solo.
Dopo una dozzina d'anni trascorsi nella città di confine, era tornato a Parma, dove, lavorando nella sanità, non solo conobbe almeno un altro importante - per la qualifica professionale acquisita - immigrato da questa costa, ma anche cugini di un suo vecchio sodale.
Negli ultimi tempi, ormai pensionato, amava fare lunghe conversazioni telefoniche con gli amici della zona di Ventimiglia, che talora metteva in contatto tra di loro, come per il caso della ricerca di vecchi fumetti.
Poteva chiedere notizie di un ex ragazzo di Nervia, che aveva frequentato con lui l'avviamento professionale a Ventimiglia Alta, ma poteva essere lui ad informare del prossimo arrivo per le ultime edizioni della Battaglia di Fiori di chi avrebbe aiutato con i suoi consigli alla costruzione di carri - i cui capannoni erano piazzati nell'area dell'ex deposito locomotori di Nervia - dei giovani non ancora del tutto rodati, lui che, però, dei carri di un tempo ricordava poco o nulla.
Poteva stupirsi di ritrovarsi in una vecchia immagine di quando giocava - senza mai incontrare, però Ferenc Puskás, che tra quei ragazzi talora si allenava - negli juniores della Giovane Bordighera, il cui campo casalingo, sullo storico Capo, allo stato attuale è soprattutto un parcheggio.
Rievocava escursioni gastronomiche in Val Roia e in Val Bevera con uno zio acquisito, valente e noto panettiere.
Soprattutto si sentiva ancora un ragazzo di Via Regina, come viene chiamata ancora da qualcuno Via Dante a Ventimiglia, dove aveva intessuto la maggior parte delle sue relazioni in cifra locale: non potevano allora mancare menzioni di un vecchio campetto di calcio dei dintorni o di una certa pianta di deliziose carrube.
Significativo, poi, il senso di come si tenesse in contatto con tanti ex compagni delle scuole elementari: certo tornava spesso in questo territorio, ma non mancava quasi mai di partecipare agli incontri conviviali spesso organizzati da quegli ex alunni con il loro maestro.
Stefano e Silvano forse si conobbero, ma non fu così per Silvano e Carlo: un vero peccato perché sarebbe stato interessante sentirli darsi sulla voce con le rispettive parlate vernacolari dalle tante assonanze.
Dopo una dozzina d'anni trascorsi nella città di confine, era tornato a Parma, dove, lavorando nella sanità, non solo conobbe almeno un altro importante - per la qualifica professionale acquisita - immigrato da questa costa, ma anche cugini di un suo vecchio sodale.
Negli ultimi tempi, ormai pensionato, amava fare lunghe conversazioni telefoniche con gli amici della zona di Ventimiglia, che talora metteva in contatto tra di loro, come per il caso della ricerca di vecchi fumetti.
Poteva chiedere notizie di un ex ragazzo di Nervia, che aveva frequentato con lui l'avviamento professionale a Ventimiglia Alta, ma poteva essere lui ad informare del prossimo arrivo per le ultime edizioni della Battaglia di Fiori di chi avrebbe aiutato con i suoi consigli alla costruzione di carri - i cui capannoni erano piazzati nell'area dell'ex deposito locomotori di Nervia - dei giovani non ancora del tutto rodati, lui che, però, dei carri di un tempo ricordava poco o nulla.
Poteva stupirsi di ritrovarsi in una vecchia immagine di quando giocava - senza mai incontrare, però Ferenc Puskás, che tra quei ragazzi talora si allenava - negli juniores della Giovane Bordighera, il cui campo casalingo, sullo storico Capo, allo stato attuale è soprattutto un parcheggio.
Rievocava escursioni gastronomiche in Val Roia e in Val Bevera con uno zio acquisito, valente e noto panettiere.
Soprattutto si sentiva ancora un ragazzo di Via Regina, come viene chiamata ancora da qualcuno Via Dante a Ventimiglia, dove aveva intessuto la maggior parte delle sue relazioni in cifra locale: non potevano allora mancare menzioni di un vecchio campetto di calcio dei dintorni o di una certa pianta di deliziose carrube.
Significativo, poi, il senso di come si tenesse in contatto con tanti ex compagni delle scuole elementari: certo tornava spesso in questo territorio, ma non mancava quasi mai di partecipare agli incontri conviviali spesso organizzati da quegli ex alunni con il loro maestro.
Stefano e Silvano forse si conobbero, ma non fu così per Silvano e Carlo: un vero peccato perché sarebbe stato interessante sentirli darsi sulla voce con le rispettive parlate vernacolari dalle tante assonanze.
Adriano Maini