mercoledì 24 febbraio 2021

Fuori sacco


"Fuori sacco" è un'espressione da me appresa, negli anni che furono, in relazione alla trasmissione - allorquando non sussisteva l'attuale tecnologia - di un articolo di giornale (creato ancora con una battitura più o meno affrettata dei tasti di una macchina da scrivere direttamente su di un foglio di carta, in genere già predisposto con misteriosi segni di misurazione!) all'ultimo istante, fuori del contenitore già predisposto sul carro ferroviario della posta, dunque. Il concetto, per estensione, l'ho sentito spesso usare in seguito per l'aggiunta in extremis di punti all'ordine del giorno di riunioni professionali specializzate o in altre similari situazioni.

E questa frase l'ho usata talvolta quando ancora mi cimentavo con un blog inteso - credo! - alla maniera tradizionale, quella più improntata alla conversazione tra amici, una strada che ho interrotto diversi anni fa per occuparmi di felici accadimenti di carattere privato e che, ormai distratto, ho ripreso da poco a frequentare sporadicamente. 

Poteva trattarsi di una fotografia utile a corredare un mio post, ma reperita dopo la pubblicazione del medesimo; di un episodio sul momento da me dimenticato, ma pertinente; di un precedente commento di un lettore, che sarebbe stato meglio inserire, in quanto pertinente; ed altro ancora.

La frase l'ho usata soprattutto per fare - almeno, spero! - dell'autoironia.

Anche se detta espressione suona di più, pur con varie sfumature, come una cosa inaspettata, una grossa novità, un accadimento imprevisto.

Il tutto mi torna in mente perché ogni tanto mi interrogo se non sia il caso di tornare con decisione sui miei passi sopra accennati.

Ho preso altre vie, come si potrà notare guardando la colonna di destra di questo blog. In proposito, pochi giorni addietro un nuovo amico, valente professionista e ricercatore di storia, definiva i miei nuovi impegni sul Web non trascurabili antologie di scritti significativi.

Ed allora sul tema può anche stare, magari per celia, l'immagine qui sopra messa, corrispondente ad uno scatto, vecchio di circa sessant'anni, fatto da mio padre o a Medesano, in una cui frazione, Miano, era nato, o nella vicina Noceto, sempre in provincia di Parma: a distanza di tempo e di luogo io non sono ancora riuscito a decifrare il mistero. 

Adriano Maini

 

mercoledì 9 dicembre 2020

Basilio

Un angolo della vecchia Nizza

Nella mia interessante corrispondenza di questi ultimi tempi spicca la seguente testimonianza d'epoca:

«Ho ripreso in mano questa lettera che potresti pubblicare.
Lascerei la forma anche se a volte scorretta.
Scritta da chi avrà fatto i tre anni di elementari
.
Già un grande privilegio in quei tempi dove le braccia dei bambini servivano alla sopravvivenza».

"Dovendosi recare quest’inverno a Nizza presso nuovi padroni. Credeva partire alla fine della campagna (cioè raccolta delle castagne) invece è stata richiesta di premura e così fin dal giorno sei di questo mese è partita con autocarro Satis (1) Sanremo-Nizza; così è passata sulla vostra porta senza neanche potervi vedere. Ci scrisse subito due volte che si trovava bene e contenta dei suoi padroni; ora attendiamo tutti i giorni sue notizie.
Essendole capitato un posto, che finora e ben difficile lei ha creduto bene di passare in Francia anche soltanto per apprendere la lingua che è molto utile e serve tanto.veramente la sua assenza ci dispiace molto è certo che il lavoro in casa nostra non le mancava; ma poi che volete qui nei nostri paesi vi è pochissimi soldi, stagioni a lavorare perché ........ed è sempre più peggio perché i nostri raccolti oggi giorno non hanno vendita, non abbisognano al stretto massimo cui ci abbisogna di acquistare per nutrirsi e vestirsi e allora ci casca le braccia a terra e si perde la volontà di lavorare. Se andiamo di questo passo l’avvenire secondo me ci si presenta assai tenebroso e poco soddisfacente.
Speriamo sempre bene e intanto andiamo avanti ringraziando Iddio che ci conserva almeno in salute che è il più di tutto.
A nome di tutta la famiglia vi saluto con tanti bacioni dai nostri bimbi a voi e alla bella S. che non vediamo quel momento di vederla di presenza.
Vostro aff.mo Basilio"

«Ho trovato fra le carte dei miei vecchi un mezzo foglio, una lettera che Basilio scriveva a mio nonno.
Era un novembre del 1950.
Mio nonno amico di scuola di Basilio era sceso con la famiglia verso la costa.
Erano stanchi di mangiar patate e castagne.
Era quella di Basilio una famiglia numerosa, quattro figli.
La figlia più grande Maddalena avrebbe lasciato la famiglia per recarsi in una delle tante famiglie ricche della Costa Azzurra.
Sarebbe stata rispettata e benvoluta.
Avrebbe però rinunciato come una monaca ad una vita sua.
Quando tornava a casa in Valle Argentina scendeva dalla corriera per salutare i nonni.
La ricordo come una ragazza bella e distinta vestita di una tristezza che non riusciva a nascondere neppure ai miei occhi di bambina.
Uguale sguardo rivedo oggi nei volti dei ragazzi che fuggono dal loro paese e che si accampano sui bordi dell'Aurelia nei pressi della frontiera, in attesa di accoglienza e aiuto sperando come Maddalena in un futuro migliore
».

Il destinatario della commovente missiva abitava in una zona situata tra la frontiera con la Francia e Bordighera che lascio volutamente indeterminata.

Io, dal canto mio, non posso che essere d'accordo con le delicate considerazioni della mia gentile interlocutrice.

Adriano Maini

(1) [in effetti, direi SATI, una scomparsa ditta di autobus]

martedì 24 novembre 2020

Ma chi erano, poi, i fratelli Lazaridès?

 

Fonte: Alessandro Dall'Aglio, op. cit. infra


Il ferroviere rimase molto stupito nel controllare il biglietto a Lucien Lazaridès, con il quale aveva frequentato (nel 1931-1932) un anno di scuola elementare francese nel corso della sua breve, molto breve permanenza a Le Cannet in qualità di figlio di emigrante. Riconoscersi da adulti dopo oltre vent'anni non è cosa di tutti i giorni.

Ma Lucien (nato ad Atene) aveva un fratello - Jean, soprannome Apo -,  anche questi probabilmente frequentato da quel conduttore nel lontano trascorso in Costa Azzurra. 

Due fratelli entrambi ciclisti professionisti di discreta fama, più accentuata - va da sè - nel Nizzardo, avendo anche partecipato a diverse edizioni del Tour de France. E Lucien, quando rivide il vecchio compagno di scuola, era probabilmente ancora in carriera.

Il ferroviere aveva raccontato in famiglia, ad amici e conoscenti che uno - Apo (Jean) - dei due fratelli aveva vinto un Tour de France, uno non ufficiale, quello del 1946: il Web - e non solo - consente oggi di appurare tranquillamente che si trattava di giusta informazione.

Di queste vicende si trova riscontro in una tesi di laurea, quella di Alessandro Dall'Aglio (Emigrazione italiana e sport a Nizza nel secondo dopoguerra. 1945-1960, Università degli Studi di Parma, Anno Accademico 2002-2003), un documento che pur passando in rassegna nello specifico ciclisti di origine italiana, non poteva non dedicarsi ai Lazaridès, registrando, altresì, gli entusiasmi locali dell'epoca. Ad esempio: "Alla Marsiglia-Monaco, il 30 giugno 1946, vince Jean Lazaridès, corridore dell’ES Cannes, figlio di immigrati greci trasferitisi nel 1922 a Marsiglia [...] A fine luglio si corre la Monaco-Parigi, gara a cinque tappe organizzata da «Le Parisien Libéré» e «Nice Matin». Il quotidiano nizzardo si ostina a nobilitare questa corsa col titolo di Tour de France e, talvolta, più onestamente, di mini Tour de France. Questa corsa in realtà non viene mai inserita negli annali del Tour. Semplicemente riproduce il vero Tour, ma in forma molto ridotta. I ciclisti vengono comunque convocati per nazionalità [...] Per la Costa Azzurra le cose non andranno comunque male, visto che a Parigi leader della classifica finale sarà, a sorpresa, Lazaridès".

Adriano Maini

sabato 31 ottobre 2020

Simpatiche coincidenze


La circostanza in cui è stata scattata la soprastante foto proprio non me la ricordavo.

Rivedendola sul sito di Davide mi è tornata alla memoria: un corso di impostazione della voce da lui tenuto presso la Chambre de métiers delle Alpi Marittime con sede a Saint-Laurent-du-Var almeno sedici anni fa, se non di più, un'occasione alla quale forse non fu estranea la mia collaborazione.


Alle lezioni tenute presso l'organizzazione dove all'epoca lavoravo talora ero presente anch'io.

Ricordi simpatici.


E simpatiche coincidenze. Rivedo, ad esempio, qui sopra Marco Farotto - il primo da sinistra -, da sempre impegnato a Bordighera nel campo dell'arte, ma penso che l'occasione di quelle lezioni Davide Andreoni se le fosse procurate sul campo per suo esclusivo merito.

Davide Andreoni al centro


Davide da anni è tornato a Milano. Ci si rivede di tanto in tanto. Ci si sente più spesso per telefono. Parlare casualmente del suo sito mi ha dato diversi spunti. Da non affrontare tutti subito, però.


Ad esempio di una bella comune partecipazione - il fotografo a quei tempi era sempre lui! - ad una mostra di pittura a Breil-sur-Roya. Per la quale né io né lui ritroviamo scatti acconci. Giornate, quelle passate in quella parte di valle francese, spesso caratterizzate, come tante altre di quelle spese in comune, da più o meno interessanti conoscenze, spesso anche da quelli che in oggi si potrebbero definire succosi aneddoti.

Adriano Maini

 

venerdì 21 agosto 2020

Ancora Garibaldini di Spagna




Scrivevo  a questo link Garibaldini di Spagna


e l'amico Moreschi


subito mi inviava delle fotografie, attinte dal suo poderoso archivio, immagini che si commentano da sole.
Alfredo Moreschi aveva effettuato in merito una ricerca per un libro di memorie di un suo conoscente.

Ma anche miei corrispondenti e miei altri amici avevano notato e commentato quel mio articolo.

In particolare ci furono parole molte commosse di una cara persona, soprattutto su Cesare Menarini, che forse dalle nostre parti ha fatto in tempo ad essere più conosciuto di Giuseppe Mosca. In ogni caso, di questi due generosi uomini, Menarini e Mosca, in genere avevamo saputo solo in termini generici della loro partecipazione alla guerra per la difesa della Spagna Repubblicana ed Antifascista.

E l'argomento della difesa della Repubblica Spagnola mi è stato di recente sollevato da chi, pur conoscendo meglio di me, in quanto vi è anche iscritto, l'AICVAS, l'Associazione Italiani Volontari Combattenti Antifascisti di Spagna, leggendo quel mio modesto contributo di qualche mese fa, ha potuto osservare ed apprezzare le figure di Menarini e Mosca.

Senonchè, questo nuovo intervento mi ha fatto, per associazione di idee, riandare con la memoria, come specifico dopo, al professore Raffaello Monti, dato che il mio nuovo interlocutore aveva avuto frequentazioni di famiglia con Monti.

Io del professore Monti avevo tracciato un breve profilo con questo mio post, al quale mi viene spontaneo rimandare.
Ad usare un eufemismo, aggiungo che mi lascia perplesso il fatto che della presenza almeno politica di Raffaello Monti alla guerra di Spagna abbia parlato con forza solo Nino De Andreis in una sua lettera a "l'Unità", scritta dopo la morte del professore, una missiva per fortuna pubblicata, di modo che si può attestare che già all'epoca si denunciavano (da parte di De Andreis) sin troppe aporie intorno agli impegni pacifisti, antifascisti e progressisti di Monti.

Almeno David Ross (figlio di Michael Ross, nipote di Giuseppe Porcheddu), come da email del 22 agosto 2020, una memoria, foriera di inserimento in una prossima pubblicazione in Gran Bretagna, a Monti la dedica: " Le idee antifasciste di Beppe [Porcheddu] vennero ben presto note in Torino per cui decise di agire prima di incorrere in inevitabili conseguenze. Decise di raggiungerre un suo caro amico italiano, il Professore Raffaello Monti, anch'egli antifascista, il quale si era temporaneamente trasferito a Tolosa per sfuggire all'atmosfera ormai tossica che aleggiava in Italia. Nel 1936 Beppe e tutta la sua famiglia andarono a Tolosa per vivere con Monti e la famiglia di questi". 
 
Adriano Maini

lunedì 4 maggio 2020

La fisarmonica



La fisarmonica. No, non mi riferisco alla più o meno nota canzone d'antan.
Mi è tornata, invece, in mente la fisarmonica che ho sentito suonare per la prima volta nel 1955 in una bella casa del centro storico di Ventimiglia (IM).
Il musicista era un collega di mio padre, che incantava me, allora bambino, anche con la prima collezione di trenini elettrici che io abbia mai visto.
E giocavo, anche, volentieri, con la figlia di quel signore, mia coetanea.
Per decenni non ho quasi più pensato a quello strumento musicale, un incanto per il fanciullo che ero, in quell'epoca così lontana dall'attuale modernità tecnologica.
Mi poteva capitare se sentivo, a qualche sagra o in qualche film, la melodia di qualche valzerino, soprattutto se di tipo, come ho sempre definito tra me e me, francese.
Solo l'anno scorso mi è venuto in mente di chiedere alla figlia dell'amico di famiglia di quella fisarmonica. Che nel tempo in quella casa aveva visto arrivare una compagna, suonata dalla ragazza.
E la prima fisarmonica è ancora là, spostata in zona ancora più ridente, un po' più a ponente nel territorio della città di confine.
Fa tuttora compagnia al vegliardo, al quale, come alla moglie, auguro lunga vita.
Pensieri di giorni di forzata inazione!
 
Adriano Maini


martedì 14 aprile 2020

Ancora i BBS!



Si vede proprio che Flavio Palermo ha pensato un po' alla questione.


Avevo scritto di miei vecchi esperimenti di comunicazione via Web, Internet, e non solo, in alcuni articoli, di cui l'ultimo a questo link.

A Flavio - e non solo a lui - le mie imprecise considerazioni erano piaciute: me lo aveva anche scritto!


E così adesso mi ha mandato qualche immagine della strumentazione che usava a quei giorni, giorni da considerare ormai da pionieri.

Flavio mi ha confermato che proprio su quell'apparecchiatura del suo pregresso laboratorio in Ventimiglia aveva impiantato quel suo esperimento di BBS, in pratica rivolto solo a me.

Insomma! Una cosa che mi fa piacere.

Il resto del discorso lo lascio al post precedente. 
 
Adriano Maini